Tempo fa un mio amico conoscitore del cinese mi spiegava che l'ideogramma con il quale si indica il concetto di crisi è dato dall'intreccio di due ideogrammi che rappresentano rispettivamente il concetto di distruzione e creazione. La crisi dunque come momento di distruzione, di cancellazione di vecchie certezze ma anche di apertura di spazi nuovi di riflessione, di proposizione di nuove opportunità. La crisi attuale che ha investito il sistema finanziario ed economico internazionale non sfugge a questa regola che nel nostro piccolo, parliamo dell'Umbria, significa ripensare un modello di sviluppo fino ad oggi eccessivamente sbilanciato sul ciclo edilizio, le tre C spesso evocate, e che proprio di fronte alla crisi internazionale, che, non dobbiamo dimenticare, ha origine proprio nel mercato immobiliare drogato alla ricerca di facili guadagni (la bolla speculativa), mostra ormai la corda. A dire il vero un'affermazione di questo tipo è contenuta a chiare lettere nel Contributo programmatico per le elezioni amministrative 2009 sottoscritto a livello regionale da tutte le forze politiche del centro sinistra. In questo documento non solo si sottolinea che la crisi deve “essere un'occasione per riprogettare un modello di sviluppo e permettere a tutta l'Umbria di stare nella globalizzazione” ma si precisa che quel modello di sviluppo centrato su di “un'edilizia di tipo tradizionale, ad alto consumo energetico ed invasiva, ormai non è più perseguibile”. Parole sante, verrebbe da dire, ma (c'è sempre un ma!) il problema è far seguire alle parole i fatti e poiché questo gigantismo edilizio è stato uno dei tratti caratteristici dell'operare di molte amministrazioni locali negli ultimi anni, sarà bene invertire questa tendenza. Come? Rivendendo tutta una serie di progetti avviati dalle amministrazioni e che ora non hanno più senso per essere portati avanti, non fosse altro perché sono venuti meno, o si sono fortemente affievoliti, gli appetiti speculativi che li avevano alimentati.
Caso emblematico il caso del Mercato Coperto di Perugia, che da anni langue in uno stato di deplorevole abbandono. Per risollevarne le sorti si era pensato ad un mega progetto dove il pubblico, nel caso il Comune, metteva il patrimonio, la struttura del mercato, ed i privati, a cui veniva affidata la gestione del progetto e delle attività, i soldi. L'idea era di costruire, attraverso una serie di mega interventi, una ennesima struttura commerciale di grande dimensioni, assai fascinosa a vedere modellini e simulazioni, snaturando completamente la funzione storica del mercato coperto e, effetto non secondario, contribuendo ulteriormente alla desertificazione del centro storico. Ora, al di là delle polemiche, c'è un dato di fatto, con la crisi i capitali per compiere questo scempio non ci sono più. Verrebbe da dire “Evviva la crisi”. Resta comunque il problema di dare una soluzione dignitosa al Mercato Coperto. La cosa non è complicata. Progetti ce ne sono e sono stati presentati da tempo, a partire da quelli che prevedono una rivitalizzazione del mercato coperto senza snaturarne la funzione. Francamente non si capisce perché tutte, diconsi tutte, le cittadine di medie dimensioni in Italia ed in Europa, hanno un loro mercato coperto dove i cittadini possono comprare frutta e verdura, formaggi e carne, pane e pesce, ed i turisti (non dimentichiamoci questa componente) possono avere la possibilità di fare uno spuntino con prodotti tipici e a costo contenuto, ma Perugia no. Si vada a vedere come funziona il mercato coperto di Ancona, o di Ravenna (a ridosso di San Vitale) o di Padova o di Pescara o di Barcellona, per citare alcuni primi esempi che vengono alla mente. Non è poi così difficile.
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