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di Isabella Rossi “Il processo è per un omicidio, ma non possiamo dimenticare che due sono le vite che non ci sono più”. Così ha esordito il pubblico ministero, Antontella Duchini, nella sua requisitoria durata quasi 10 ore in un processo che supererà in questa settimana le trenta udienze. Un’importante considerazione preliminare ispirata all’insegnamento di Giovanni Falcone, ha detto il pm, ha guidato la sua metodologia d’indagine: il divieto di parcellizzazione degli indizi e delle prove. Di seguito gli elementi raccolti dall’accusa durante le indagini e la fase dibattimentale. La pista albanese Non è mai esistita, non c’è il minimo indizio a provarla. La sua esistenza è frutto esclusivo delle dichiarazioni di Spaccino e familiari. E’da lì che la “notizia” si è diramata ed è stata trasmessa alla stampa. Quel 25 maggio 2007 tutti i mass media parlavano di una “banda di ignoti albanesi”. Addirittura il Comitato per ordine e sicurezza è stato allertato e il Ros centrale ha inviato una sezione. La conseguenza è che c’è stato “un tentativo d’intrusione nelle indagini della Procura di Perugia”. Anaffettività nel contesto familiare Molti di quelli che si proclamavano amici della coppia non hanno chiesto informazioni circa lo svolgersi degli eventi direttamente a Roberto o ai familiari ma hanno dichiarato di aver appreso le notizie dai giornali. L’amicizia sbandierata si è poi rivelata una frequentazione occasionale. Lo stesso Roberto due giorni dopo la morte di sua moglie disse alla suocera di voler ingrandire la lavanderia. Dalle intercettazioni emerge, inoltre, “l’esclusivo interesse patrimoniale che muove tutto il nucleo familiare” ha dichiarato il pm. La preservazione del patrimonio familiare Anche dopo carcerazione ed isolamento l’unico cruccio di Roberto è il destino della lavanderia, come emerge dai colloqui con i suoi familiari. Non una parola sui propri figli. Sistemare i suoi beni perché nessuno possa rivalersi, è questo a preoccuparlo. Una serie di colloqui sono tutti incentrati sui passaggi di proprietà, “se no te armagnano ogni cosa”. Anche la ventilata partecipazione a “ Porta a porta” e a “Matrix” è motivata dai compensi. Neanche per un attimo sfiora a Spaccino l’idea di suicidarsi. La prova dei delitti di maltrattamento in famiglia “Mio padre ci stendeva per terra fino e che non vedeva il sangue non smetteva”. E’ Roberto a raccontarlo a Barbara per suggerirle linee di comportamento verso i propri figli, ha riferito sua madre, Simonetta Pangallo. Anche ai bambini sono state indirizzate minacce di morte e loro stessi sono stati vittime di violenza assistita, hanno cioè assistito ad episodi di violenza verbale e fisica verso la propria madre. Eventi che causano gravi traumi nella psiche dei bambini. I maltrattamenti e le ingiurie, continue, implacabili e sistematiche sono state provate da tante dichiarazione di testi, anche della difesa che interpretavano le frasi di Spaccino come uno “scherzo”. Ma di scherzo, ha ribadito il pm, non si è mai trattato. Quando durante una lite furiosa si dice “tanto di ammazzo”, non è uno scherzo. Le offese a Barbara venivano infatti esternate anche in presenza di terzi. La violenza fisica e verbale e le minacce sono state ammesse dallo stesso Spaccino nel corso del suo esame. Quello che si è delineato è la tipica spirale della violenza che caratterizza il maltrattatore. Le varie fasi sono state confermate da testimoni che hanno riferito commenti di Barbara:“quando è calmo è tutto gentile”. Condividi