La barbarie come istinto di gregge
Quando la polvere del caso Battisti si sarà depositata e Salvini avrà trovato un nuovo argomento per alimentare la sua infinita campagna elettorale, unica attività nella quale bisogna riconoscergli un talento indiscutibile, forse potremo cominciare a ragionare sull'ennesima picconata che abbiamo inferto alla Costituzione e allo Stato di diritto.
Lungi da me qualsivoglia difesa di un personaggio controverso come Battisti, il quale ha agito in una setta ultra-minoritaria e oggettivamente pericolosa come i PAC sul finire degli anni Settanta e di cui vari tribunali hanno riconosciuto la colpevolezza.
Lungi da me emettere sentenze o commentarle, anche se non mi si può impedire in nessun caso, nemmeno in questo, non me ne vogliano i benpensanti, di coltivare l'arte del dubbio.
Lungi da me schierarmi dalla parte di qualcuno; anzi, reputo che questo continuo incitamento a prendere posizione, qualunque sia l'oggetto del dibattito, nasconda, esso sì, un fondo di brigatismo, sul modello di quei gruppi studenteschi e universitari degli anni Settanta all'interno dei quali se non esprimervi posizioni ai limiti dell'assurdo e del ridicolo venivi tacciato automaticamente di "fascismo".
A me non interessa alimentare questa guerra civile a neanche troppo bassa intensità che si protrae ormai da quarant’anni, che ha mietuto un consistente numero di vittime e che sarebbe ora di lasciarsi alle spalle, visto che le vicende sono note, i colpevoli pure e questa caccia al latitante, rosso o nero che sia, più che a un desiderio sacrosanto di giustizia somiglia tanto a un'inconfessabile voglia di vendetta.
A me non interessa parlare di Battisti, della sua storia, dei PAC, degli omicidi, del clima di quel periodo e degli innumerevoli punti oscuri che la tragedia degli Anni di Piombo reca e recherà ancora a lungo con sé.
A me interessa invece, e molto, riaffermare il valore della Costituzione, del suo articolo 27 e dello Stato di diritto.
A me interessa citare Aldo Moro e la sua straordinaria lezione contro l'ergastolo: una pena di morte differita che persino il Brasile ha abolito e che sarebbe opportuno abolire anche alle nostre latitudini, più che mai quello ostativo cui sarà condannato il personaggio in questione.
A me interessa riflettere sulla funzione rieducativa del carcere e della pena, che mai può avere una funzione distruttiva dell'essere umano, dei suoi diritti e della sua dignità, anche se stiamo parlando di un mafioso, di un terrorista, di un assassino seriale o della più spregevole delle persone.
A me interessa riaffermare l'idea in base alla quale le sentenze le emettono i giudici e non i ministri, intenti a compiere ridicole passerelle e a trasformarsi in giustizieri della notte per alimentare ulteriormente il clima forcaiolo che pervade il nostro Paese dai tempi di Mani Pulite.
A me interessa rivendicare quel meraviglioso diritto al dissenso che caratterizzò l'azione politica di Ingrao, in quanto questa Nazione assuefatta al conformismo e al pensiero unico ha più che mai bisogno di voci fuori dal coro e di qualcuno che, ogni tanto, persino sulle vicende più urticanti, si estranei dalle verità ufficiali e decida di "scavare nella polvere" per fornire una versione dei fatti diversa ma non per questo meno saggia o attendibile.
A me interessa contrastare con ogni mezzo lecito questa forca di Stato, questo costante desiderio di issare su una picca la testa del reprobo, questa tendenza a trasformare i cittadini nelle tricoteuses che andavano a filare davanti alle ghigliottine durante la Rivoluzione francese, questo continuo invocare il "Crucifige!", questo vergognoso pilatismo per cui le istituzioni si lavano le mani e affidano un caso spinoso al linciaggio della folla assetata di sangue.
A me interessa sostenere che di sangue, come detto, questo Paese ne ha versato fin troppo, dunque basta perche non saranno l'odio e la barbarie a renderci migliori.
A me basterebbe tornare ad essere lo Stato di Cesare Beccaria, della certezza della giusta pena e del ripudio di qualsivoglia forma, comprese le più surrettizie , di pena capitale, perché né ho abbastanza di questa parodia di "Impiccalo più in alto" in cui ogni Napalm 51 che latra su un social network può riscrivere l'ordinamento giuridico a suo piacimento e influenzare così coloro che sarebbero chiamati a stabilirlo.
A me interessa tornare ad avere un'opinione pubblica colta e consapevole, critica ma non cinica, cosciente del fatto che la logica della faida appartenga al Medioevo e alla camorra ma non ad un Paese civile.
Io sono uno di quei pochi che avrebbe voluto vedere bin Laden processato e condannato per i suoi crimini, e come lui i mafiosi nostrani e i terroristi islamici, proprio perché credo che la democrazia di uno Stato liberale debba impartire una lezione di netta superiorità ai mostri che hanno insanguinato le nostre strade e rovinato la vita della comunità nel suo insieme.
Quanto all'accusa di essere comunista, che in questo Paese, da sempre, certi settori della destra profonda non lesinano a chiunque abbia un quoziente intellettivo superiore a 70 e sia restio al "credere, obbedire, combattere", devo infliggere ai miei detrattori un'amara delusione: io sono un azionista, un liberale di sinistra, uno che si riconosce nel pensiero di Piero Gobetti e i cui ideali sono inscritti nel Partito d'Azione e nelle brigate partigiane di Giustizia e Libertà. Non ho mai avuto nulla contro i comunisti e avrei sicuramente votato, per alcuni anni, il nobile PCI di Berlinguer, con un occhio di riguardo per quegli indipendenti di sinistra che comunisti non sono mai stati ma che, a loro volta, risposero positivamente all'appello berlingueriano ai settori migliori della società per sconfiggere insieme l'orrore di quel periodo.
E oggi che la barbarie è tornata ad essere un istinto di gregge che solletica le viscere di buona parte della popolazione sono pronto, come posso, a fare la mia parte per arginarla. Restando un liberale, nel senso mazziniano del termine.

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