"Mar del Plata": l'eccidio di una squadra di rugby durante la dittatura Videla.
di Astolfo Lupia.
Recensione del libro "Mar del Plata" dell'autore Claudio fava
Il primo a cadere fu Hernan Roja. Ventitré colpi; uno è per lui, il resto per gli altri ventidue componenti della squadra. Poi fu il turno di Otilio: sapeva di essere a rischio, sapeva che lo braccavano. Si diede alla clandestinità. Ma non sfuggì al destino segnato: fu ritrovato nel Rio de la Plata, oscenamente gonfio d’acqua, mani tagliate, un colpo in testa. L’avevano scaraventato giù da un aereo. E forse fu fortunato, perché il suo corpo fu trovato, a differenza di quelli di migliaia di suoi coetanei; per loro, per i loro familiari neanche la consolazione di un luogo, di un sepolcro in cui riposare e su cui piangere. Fu poi il turno di tutti gli altri: Mariano, il capitano, Santiago, Pablo. Alla fine resta solo Raul Barandarian. E’ la storia, triste assai, della squadra di rugby che fu decimata al tempo della dittatura argentina. Il libro di Fava ne ricostruisce la storia. Scritto nel 2013, nel marzo di quest’anno ne esce una nuova edizione, con in appendice un dialogo con Raul, l’unico sopravvissuto di quella leggendaria ed eroico team . Non ci è dato di sapere quanto esattamente nella costruzione narrativa sia verità ricostruita e quanto sia in essa di finzione. Certo, l’ordito finale rende con notevole verisimiglianza ed efficacia la vicenda, che è quella di un potere tremendo e paranoico, e dell’opposizione che ad esso frappone un manipolo di giovani che non esita a mettere in gioco l’unica arma di cui dispone. E quest’arma è il proprio corpo, coperto, difeso solo dalla divisa sociale. La strategia mesa in atto è semplicemente quella di continuare a giocare, e a vincere, “fare finta di niente mentre i miei amici cadevano giù come birilli”, nelle parole di Raul. Per ogni compagno caduto, viene trovato un rimpiazzo nelle squadre giovanili. E quel che sorprende è che la squadra continua a vincere, a lottare per vincere il campionato nazionale. Ad un certo punto il funzionario dell’esercito che li segue da vicino e che dispone le esecuzioni in serie, contatta l’allenatore, il duro Passarella, proponendogli di mettersi in salvo con la squadra a condizione di abbandonare il paese. I dialoghi tra i due sono tra i momenti più significativi del libro. Quelli in cui si scontrano le ragioni folli, paranoiche del potere, e quelle della resistenza umana, della dignità. Nell’ultimo, Montonero, il funzionario, una specie di Travet feroce, spietato e sciancato, propone ancora una volta all’allenatore di abbandonare il paese: “io non me ne vado, stronzo” è la risposta alla richiesta irricevibile. Poche ore dopo, Passarella è appeso ad un gancio da macellaio, dal ventre squarciato colano “sangue, piscio, vita”. A distanza di decenni dal dicembre dell’ottantatré, quando vennero indette libere elezioni in Argentina, le vicende legate a quella orrenda dittatura continuano a stimolare reazioni intense, appassionate in intellettuali, scrittori e gente comune. Evidentemente, qualcosa in quel che avvenne allora riesce a muovere corde profondissime, a farlo sentire come accaduto appena ieri. Claudio Fava, che viene da una terra, la Sicilia, tristemente abituata ai fatti di sangue, efferati; che ha conosciuto da presso, nella sua storia familiare la tremenda efficacia di quella ferocia istituzionalizzata che è la mafia, ci lascia una suggestione che volentieri riproponiamo e facciamo nostra. Forse quel che è accaduto in Argentina ci dice qualcosa sulla “natura cupa del potere (…), pensieri malati, l’avidità di pochi, il loro desiderio di impunità” e, aggiungiamo noi, il non sottrarsi all’eliminazione fisica dell’oppositore, il pianificarla, anzi, con fredda razionalità strumentale. Videla e Nitto Santapaola, ci suggerisce Fava, si rassomigliano, come si rassomigliano le loro vittime. A Buenos Aires, e anche in Sicilia, è dato di confrontarsi con la natura orrifica del potere, il suo volto di Gorgone. Ancora, il suo dispiegarsi in assoluta libertà, non limitato dalla parola, dalla legge. Ma ogni potere, per quanto illimitato, arbitrario possa essere, evoca sempre un oppositore. Qualcuno che, senza speranza d’altro, sorge semplicemente a difendere la dignità di ogni uomo; qualcuno che decenni addietro vestiva i colori sociali del Rugby Mar del Plata.

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