È uso corrente, nel dibattito politico di oggi, considerare il PD un partito di sinistra e di annoverarlo fra le varie forze che si richiamano alle tradizioni alle quali la sinistra si richiama.

Credo che questo modo di valutare le varie questioni politiche sia forzato e non del tutto in buona fede.

Ora è senz’altro vero che le radici di questo partito affondano negli ideali del movimento operaio del ‘900, ma è altrettanto vero che le politiche e gli ideali che il PD oggi persegue sono conflittuali con il progetto di società che fu del PCI, partito dal quale esso deriva.

Il PCI era coerente con i principi della nostra Costituzione e fu uno dei partiti che più si batté per giungere a quella sintesi politica di democrazia, uguaglianza e libertà, che non fu un semplice compromesso, ma la visione di una società futura che doveva uscire definitivamente dal fascismo e mettere degli impedimenti giuridici, affinché esso potesse, in qualche modo, nei corsi e ricorsi storici ritornare. Lottò per l’emancipazione di tutti i lavoratori, cercò l’unità fra le classi lavoratrici, fu a fianco di tutte le istanze di progresso che segnavano un punto di discontinuità e di miglioramento materiale della classi sociali più deboli. Un esempio per tutti la conquista dello statuto dei lavoratori.

Il PD, invece, si è fatto promotore di un cambio radicale della nostra Costituzione, dettato dalle forze più conservatrice che vogliono instaurare un regime tecnocratico e solo apparentemente democratico. L’esercizio del voto elettorale volto esclusivamente alla stabilità politica, ovvero ad una pace sociale dove il potere può tranquillamente, in modo autoreferenziale, riprodursi. Completamente avverso, quindi, alla rappresentatività delle varie soggettività politiche, di un pluralismo ideale, vera espressione della società civile, che rappresenta l’essenza della democrazia, ed all’avversità per ogni tipo di conflittualità sociale, senza la quale non può esserci un miglioramento progressivo delle condizioni materiali dei soggetti più deboli.

L’introduzione del jobs-act ha ridotto drasticamente i diritti dei lavoratori, superato di fatto il contratto collettivo nazionale del lavoro, rendendo ogni lavoratore un soggetto autonomo e più debole verso le classi dirigenti, indebolendo fortemente la soggettività collettiva della classe lavoratrice la sola che le poteva permettere di difendere e rilanciare efficacemente i propri diritti.

Una scelta di campo, quindi, completamente opposta a quella del PCI.

Ora mi sembra evidente che se il PD tutela gli interessi dei più forti, a scapito di quelli dei più deboli, non si possa ritenere un partito di sinistra, al limite un partito che ha perso la propria rotta e si incammina in un percorso che lo porta ad abitare in una nuova casa, completamente diversa per struttura e costituzione, da quella da dove è irrevocabilmente uscito per non tornarvi più.

La debole ed inconcludente opposizione che esercita contro il governo “penta-leghista” è tutta centrata sulle politiche di austerità che hanno colpito duramente i lavoratori e le loro famiglie, sono assenti politiche espansioniste di tipo keynesiano, di ridistribuzione della ricchezza, di tutela del territorio e del patrimonio artistico. Per quanto riguarda il dramma dell’immigrazione completamente subalterne alla retorica reazionaria salviniana di “prima gli italiani”, con l’inconsistenza “dell’aiutiamoli a casa loro”.

E chiaro che con una situazione così oggettiva è impossibile che quel che resta della sinistra possa pensare a qualsiasi tipo di alleanza politica. Ci sarebbe bisogno di un cambio politico radicale ed una conseguente autocritica che porti al ridimensionamento di tutto il gruppo dirigente del PD.

Questo non avverrà, per lo meno non nei prossimi anni.

Non resta, quindi, per tutte le forze che nelle ultime elezioni politiche si sono schierate a sinistra del PD, che unirsi in un nuovo soggetto politico e con estrema fatica, vista la difficoltà con la quale si comunica con quella che si considera “la nostra gente”, cercare di ricostruire un pensiero critico di massa.

Questo sia a livello nazionale che locale, a partire dalle prossime amministrative.

E questa è la base sulla quale far nascere una nuova alternativa sociale e politica, altre strade attendiste credo siano senza speranza.

È invece la speranza che dobbiamo alimentare per dare di nuovo coraggio a tutte quei cittadini che si rendono conto di un bisogno impellente di rifondare una sinistra sociale e politica che sappia parlare ai giovani e dare quella speranza positiva nel futuro che oggi non hanno, agli adulti che sono la spina dorsale di ogni comunità, agli anziani per dare loro quella sicurezza che vanno invano cercando.

Attilio Gambacorta

Associazione Culturale Umbrialeft

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