di Leonardo Caponi.

Sono nate all’improvviso come i funghi, dopo le piogge d’autunno, le candidature a Sindaco di Perugia del Pd e di un sedicente centrosinistra (Rifondazione e Si non ci sono), da nessuno smentite e da alcuni dei diretti protagonisti accreditate. Ora, la questione è piuttosto intricata poiché da dove e da chi esse siano scaturite o autoproposte non è dato sapere. Adesso però la matassa sembra sbrogliata perché si è manifestata una convergenza sul nome unico di Giuliano Giubilei, ex giornalista Rai del Tg3. Chi l’ha deciso? L’evento torna a farsi poco trasparente. Si dice e si legge da “un tavolo largo del centro sinistra”; convocato da chi e per conto di chi? Da quel che riesco a capire si tratta di un gruppo di vecchi arnesi della militanza politica a sinistra, intellettuali, professionisti ed ex dirigenti politici che agisce sotto la regia o comunque in rapporto col Pd (con quel che ne rimane e non è molto) a cui farebbe da copertura stante l’antipatia di cui gode questo partito in città.

In tutto questo non riesco a vedere nessuna differenza con i metodi di selezione del passato; anzi! Forse incontrerà l’entusiasmo di qualche elite di cui sopra, ma agli occhi dei perugini Giubilei apparirà imposto e paracadutato in una città dove non vive e che non conosce. A Perugia, a pochi mesi dalle elezioni, non si respira l’aria di un anelito al cambiamento. Romizi, anche senza aver fatto grandi cose (forse, paradossalmente proprio per questo) pare veleggiare verso una riconferma. Perché? Perché, in realtà, ha proseguito, con meno clamore, la politica di prima e la città (con una silente, o meglio inesistente, opposizione) non ha avvertito lo “strappo” che molti aspettavano. Anche guardando ai programmi futuri, le differenze tra Pd e centro destra sono ridotte al minimo. Nessuno parla di eccesso di cementificazione, dell’abnorme espansione delle aree periferiche per grandi volumetrie commerciali ed edilizie che hanno svuotato il centro storico e devastato la vita delle frazioni, reso Perugia una città disarticolata, senza identità e favorito i fenomeni dello spaccio, della prostituzione, della criminalità. Nessuno dice che il primo punto del programma deve essere il blocco delle costruzioni e il recupero del patrimonio usato. Il no all’IKEA può essere lo spartiacque di una nuova politica. Invece, sostanzialmente, il linguaggio destra Pd è comune e la cementificazione trarrà linfa da questa idea di città post moderna, smart city come le chiamano, cioè centri che rinunciano all’industria e alla produzione materiale, per campare di centri commerciali, finanza e servizi che gli ruotano intorno e piene di precarietà e bassi salari.

Delle linee di un programma alternativo al centro destra si sarebbe dovuto discutere prima di decidere e imporre un candidato. Speriamo che qualcun altro a sinistra lo faccia.

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