UNA VITA DA MEDIANO
da Invictus.
Nel gioco del calcio, il mediano è un centrocampista. Gioca lì, in mezzo al campo. Corre, recupera palloni. È un ruolo che richiede sacrificio, corsa, polmoni. Il mediano è un generoso, è un combattente. È un sostegno per i compagni. È sempre pronto a duplicare la marcatura, a sradicare la palla all'avversario. Chi gioca in quella posizione non deve avere solo dei gran polmoni, deve avere anche un gran cuore. Questa è la storia di un mediano, sul campo e nella vita….
Ferdinando Valletti nasce a Verona il 5 aprile del 1921. Studia e gioca a calcio. Inizia la sua carriera calcistica nella squadra della sua città, l’Hellas Verona, e si diploma all’Istituto Industriale Galileo Ferraris. Nel 1938 si trasferisce a Milano. Ferdinando è un calciatore, ma è anche un operaio. Nella città meneghina lo aspetta un lavoro all'Alfa Romeo come “Maestro d’arte”. Ferdinando lavora e continua a giocare a calcio. Dal Verona, si trasferisce al Seregno. Il ragazzo, nonostante non abbia dei piedi raffinati, è un gran corridore. E' un buon mediano. Le sue prestazioni nel Seregno, vengono notate dai dirigenti del Milan. Passa al “Milan”, o meglio al “Milano”. In quegli anni, il fascismo aveva imposto di italianizzare le denominazioni straniere. Nel “Milano”, Valletti è una riserva. Giocherà nella squadra rossonera per due stagioni: 1942/43 e 1943/1944. Calcherà il prato verde dell’”Arena Civica” per disputare partite amichevoli, mai in incontri ufficiali. La sua carriera è funestata da un infortunio al menisco che ne decreta la fine. Il futuro di Ferdinando non sarà il calcio, ma l’Alfa e la famiglia. A 22 anni convola a nozze e nella primavera del ‘44 è in attesa di diventare padre.
Il nord Italia è soggiogato dalle SS. Nelle fabbriche soffia un vento antifascista. Il 1° marzo del 1944 la stragrande maggioranza delle fabbriche organizza uno sciopero contro l’occupazione nazista. Anche l’Alfa Romeo, dove lavora Ferdinando, si ferma. Valletti partecipa, è solidale con gli operai e contribuisce allo sciopero distribuendo volantini. Le SS arrestano tutti i promotori della manifestazione. Si presentano sotto casa di Ferdinando. Lo arrestano e lo portano a San Vittore. Lo allontanano dalla giovane moglie incinta. Da San Vittore viene immediatamente trasferito alla stazione centrale di Milano. C’è un treno che lo aspetta. Parte dal famigerato “Binario 21”, destinazione Mauthausen. Ferdinando, il mediano del Milan, il dipendente dell’Alfa, marito e futuro padre, viene deportato.
Dopo un breve periodo di detenzione a Mauthausen, viene trasferito nel vicino campo di prigionia di Gusen. Le strisce rossonere della sua maglia da gioco, sono sostituite da quelle sudice e sbiadite della divisa da deportato. Sul petto porta una scritta: “I 57633”. Il suo nome è cancellato, in quel posto dimenticato da Dio è il detenuto “I 57633”. Lavora nella “squadra cemento”. Il suo compito è quello di scavare gallerie nelle quali i tedeschi vogliono nascondere le loro fabbriche belliche. In quell'inferno, quel giovane uomo, atletico, forte, viene ridotto ad una larva. È sfinito dal lavoro, dalla fame. È magrissimo. Pesa appena 39 kg. Ma Ferdinando non si perde d’animo. Si aggrappa alla vita, alla speranza di tornare a casa. Si aggrappa alla voglia di vedere quel figlio che sta per nascere.
Gli aguzzini del campo, per passare il tempo, erano soliti organizzare partite di calcio. Un giorno, la partita rischia di saltare. Manca un componente. Le SS vengono a sapere che il detenuto “I 57633” ha un passato nel calcio, addirittura nel Milan. Lo convocano. Ferdinando è stanco, esausto. Ai piedi doloranti, indossa quei maledetti zoccoli di legno. Ha un menisco malandato. Viene portato al cospetto di un ufficiale delle SS. “Detenuto I 57633, è vero che sai giocare a calcio? È vero che hai giocato nel Milan?”. Ferdinando a quella domanda non può che rispondere di sì. “Bene, allora facci vedere cosa sai fare. Se sai giocare, come dici, sarai ricompensato, altrimenti, ti uccideremo immediatamente”. Ferdinando è malnutrito, ma ha una gran voglia di giocare e di vivere. Gioca una gran partita. I tedeschi sono estasiati da quel mediano e lo premiano, come avevano promesso. Lo mandano a lavorare in cucina. Grazie a quella partita non è costretto più a cavare pietre e costruire gallerie. Grazie a quella partita diventa “aiuto cuoco”. Ferdinando il mediano, il generoso, da aiuto cuoco, comincia ad aiutare altri detenuti più sfortunati. Gli passa cibo clandestinamente. Tra questi aiuta anche il pittore e scultore di origine ebraica Aldo Carpi. L’uomo, anziano e provato dalla prigionia, troverà in Ferdinando un’ancora di salvezza che lo aiuterà a sopravvivere alla follia di Gusen.
Il 5 maggio del 1945, gli Alleati liberano il campo di prigionia di Gusen. Il detenuto “I 57633” è libero. È libero di tornare a casa. Riabbraccerà sua moglie e conoscerà sua figlia: Manuela.
Ferdinando Valletti, diventerà un dirigente Alfa Romeo. Spenderà la sua vita raccontando la sua storia nelle scuole. Il suo scopo era quello di sensibilizzare i giovani a non dimenticare. Nel 1976, verrà insignito dell’”Ambrogino”, importante premio e riconoscimento della città di Milano. Morirà il 23 luglio del 2007.
Questa è la storia di Ferdinando, un mediano dai piedi ruvidi, dalla corsa prepotente e dal cuore grandissimo…sul campo e nella vita….
#invictus

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