I dati ufficiali sullo stato dell’economia nazionale ci dipingono un quadro assolutamente preoccupante e resta una pura menzogna l’ottimismo seminato a piene mani dal sistema dell’informazione, che ormai è ridotto a pura cassa di risonanza delle tesi governative. Prima il governo ha negato la crisi, adesso ci dice che è semplicemente superata.
I dati ufficiali ci dicono che il prodotto nazionale, già diminuito nel 2008, cala di oltre il 4 per cento nel 2009. Nel 2009 e nel 20010 crollano le esportazioni, crollano gli investimenti in macchinari ed attrezzature, calano ancora i consumi delle famiglie. Si prevede che entro il 2010 il tasso di disoccupazione aumenterà di almeno due punti, arrivando quasi al 9 per cento. La crescita potenziale dell’Italia (capacità di sviluppo grazie alla disponibilità di lavoro e capitale e al progresso tecnologico) si aggira attorno allo zero almeno fino al 2010.
Nel 2008 l’Italia è stata il solo grande paese il cui prodotto è calato. Fatto uguale a 100 il prodotto nel 2007, nel 2010 quello italiano si troverà a una quota appena superiore a 95, oltre due punti in meno dei paesi industrializzati, della media dell’area euro, della Francia, della Germania e della Spagna.
In condizioni di recessione economica va molto male anche la finanza pubblica. Diminuiscono le entrate e poco o nulla influiscono le uscite, ed infatti il nostro sistema degli ammortizzatori sociali, che dovrebbe offrire un sostegno al reddito dei disoccupati e dei precari, è debole e assolutamente insufficiente.
Proprio per questo, Rifondazione comunista insiste sulla proposta dell’istituzione di un “reddito sociale” per tutti coloro che sono inoccupati e il blocco dei licenziamenti dei lavoratori delle imprese colpite dalla crisi della globalizzazione neoliberista. Il debito pubblico torna al 117 per cento del prodotto interno lordo.
Lo dicono i dati del governo, la produttività è stagnante, gli investimenti sono insufficienti, i redditi personali e i consumi familiari sono bassi, la struttura del bilancio pubblico è tragica, la pressione fiscale immutabile, decimale più, decimale meno, attorno al 43 per cento.
Fra qualche giorno usciranno i dati sulla crescita europea nel primo trimestre 2009 e gli esperti – come Giuseppe Turani – anticipano che si tratterà di numeri da incubo. Gli Usa hanno già comunicato che il loro Pil è sceso del 6,1 per cento. Non si può escludere che in Europa il crollo sia addirittura doppio, se non più. Di sicuro andrà malissimo il Pil della Germania, per la quale si parla di crollo vicino al 15 per cento.
Dal fallimento della Lehman Brothers (una delle banche più grandi del mondo, attiva in 150 paesi) l’immenso debito che stava sul mercato (nelle banche) è stato trasferito sui bilanci statali, così si socializzano le perdite e si scaricano sulle spalle dei contribuenti onesti.
Occorre costruire un movimento di alternativa sociale, culturale e politico che abbia l’obiettivo di non far ricadere il risanamento sulle spalle del lavoro, un movimento largo e plurale; il primo passo è rafforzare il progetto politico dei comunisti e degli anticapitalisti.
Stefano Vinti
Segretario regionale Prc-Se Umbria
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