L'Italia affonda nell'estate degli addii
di Roberto Bertoni.
Torno a scrivere su queste colonne al termine di un mese che avrebbe dovuto essere d'estate e, invece, di fatto, è stato unicamente di lutto. Torno a scrivere mentre l'America piange il suo "maverick", quel John McCain, da sempre irregolare del Partito Repubblicano, che negli ultimi anni ha mosso nei confronti di Trump, della sua concezione della politica e del potere critiche assai più dure di quelle che gli sono piovute addosso da parte di molti democratici. Il che dimostra che si può essere avversari pur condividendo una comune base valoriale, che si può anche stimare chi la pensa diversamente ma è disposto a misurarsi sempre e solo su un terreno di civiltà, che ci si può scontrare, certo, ma senza perdere di vista quei princìpi di umanità che soli possono salvare la democrazia in questa stagione di dazi e di muri.
Scrivo al termine di un agosto che non è mai iniziato, fra la tragedia di Bologna e quella di Genova, i braccianti morti nelle campagne pugliesi e le inutili polemiche di un governo che, per quanto mi riguarda, dovrebbe andare a casa al più presto.
Scrivo mentre i centosettantasette profughi ospitati a bordo della nave Diciotti sono potuti finalmente sbarcare sulle coste italiane dopo che la CEI, cioè papa Francesco e l'ala più progressista della Chiesa italiana, hanno deciso di sfidare a viso aperto la crudeltà gratuita di un personaggio che dimostra ogni giorno di più la propria inadeguatezza a governare.
Scrivo in un'Italia che a breve dovrà confrontarsi con i fumi e le polveri dell'ILVA, con una vertenza delicatissima e con il rischio che, se dovesse fallire la trattativa con il colosso ArcelorMittal, la più importante acciaieria del nostro paese, e una delle più importanti d'Europa, potrebbe chiudere, con conseguenze imponderabili per Taranto, per la Puglia e per la nostra già disastrata economia.
Un'estate assente, ribadisco, nella quale sono tornate a farsi sentire le sirene dello spread e del debito pubblico, mentre gli investitori internazionali stanno alla finestra e aspettano la Legge di Bilancio per capire cosa accadrà nei prossimi mesi alle nostre latitudini.
Un'estate di confusione, tra promesse mancate, leggi annunciate e rimaste nei cassetti, provvedimenti draconiani all'indirizzo di Tizio e Caio che si rivelano per ciò che sono sempre stati, cioè boutade, e tanta, troppa demagogia che mette in pericolo il nostro ruolo all'interno dell'Unione Europea. Un'Unione Europea a sua volta indifendibile, presieduta in questo semestre dall'euroscettico cancelliere austriaco Kurz, la cui posizione sui migranti è quasi peggio di quella di Salvini. Un'Unione Europea senza un filo di solidarietà nei confronti del rogo che ha sconvolto Atene a fine luglio, senza un briciolo d'attenzione e compassione nei confronti dei disperati in fuga nel Mediterraneo, mentre monta il malcontento e prosperano le destre peggiori.
Sì, ci stiamo giocando l'Europa: stavolta non è un'esagerazione o un'affermazione retorica ma un'amara verità. Se il prossimo 9 settembre, alle elezioni svedesi, dovesse prevalere il partito neo-nazista Sverigedemokraterna, buona parte delle nostre speranze di costruire un'Europa coesa e federale andrebbe in fumo.
Allo stesso modo, il nostro destino dipende da come andranno le cose il prossimo 26 maggio, quando gli euroscettici e i fascisti del Gruppo di Visegrád potrebbero conseguire la maggioranza al Parlamento europeo, promuovendo la sostanziale disgregazione del sogno dei padri del dopoguerra e agevolando l'operazione distruttiva messa in atto da Trump e dai vari oligarchi mondiali cui un soggetto che ancora si fa forte dei valori dell'illuminismo e delle rivendicazioni proprie della Resistenza dà da sempre un soverchio fastidio.
Migranti, pensioni, fondi europei, contributi all'Unione Europea, nomine in RAI, ILVA, Legge di Bilancio: entro Natale, l'agenda del presunto premier Conte e del vero premier Salvini, coadiuvato da Di Maio, è fitta di tali e tanti di quegli impegni che il pessimismo è d'obbligo, specie se si considera la maniera muscolare con cui hanno dimostrato in più occasioni di agire e le ricadute che essa ha sul nostro gia fragile e provato tessuto sociale.
Ah già, ci sarebbe anche l'opposizione: quella per modo di dire di Forza Italia, con Berlusconi che sulla crociata contro i pm è tornato ad essere il migliore alleato di Salvini, e quella da poltrona e pop-corn di un Partito Democratico che, di fatto, non esiste più, si è estinto nei quindici mesi esatti che intercorrono fra il 4 dicembre 2016 e il 4 marzo 2018 e oggi vaga alla ricerca di un'identità che, purtroppo per lui e per noi, non troverà. Di LeU e delle altre forze a sinistra dell'esecutivo e del PD preferisco non occuparmene, per il semplice motivo che anch'esse contano poco e non stanno facendo praticamente nulla per uscire dall'anonimato in cui le hanno confinate gli elettori. Diciamo che il partito di Bersani, Grasso e D'Alema sta aspettando saggiamente l'implosione del PD per provare a riaggregarsi con lala sinistra del medesimo, sperando che quest'ultima non decida di perdere altro tempo in un improbabile congresso, prolungando così un'agonia che sarebbe bene risparmiarsi. Diciamo che i vari Orlando, Zingaretti e Cuperlo stanno disperatamente cercando di non arrendersi all'evidenza, anche se, secondo me, i più perspicaci tra di loro hanno già capito che ormai della casa madre non sono rimasti più nemmeno gli stipiti delle porte. Diciamo che Renzi, fra un'esperienza da divulgatore delle meraviglie fiorentine e una sparata sui social, non ha ancora deciso cosa fare, in quanto il suo soggetto macronnista è dato nei sondaggi al 4 per cento e Forza Italia, se dovesse scegliere di porre fine ai propri giorni (cosa assai probabile), andrebbe in gran parte da Salvini, tenendosi a debita distanza da un carro ormai sconfitto.
In tutto ciò, è in ballo il destino di un Paese diviso a metà, spezzato nel senso letterale del termine, in cui Nord e Sud sono accomunati solo dalle tragedie, i terremotati di due anni fa versano ancora in condizioni critiche, gli ultimi della Terra vengono respinti e discriminati in ogni modo e il clima complessivo è fetido, fra rigurgiti di razzismo e un ricorso indiscriminato alla violenza squadrista che ci riporta ai tempi delle Leggi razziali.
Addio a McCain, alla sua idea alta e nobile della politica, al suo essere uno degli ultimi alfieri di una destra pulita e perbene che ormai non esiste più neanche in America, e addio alla nostra politica in blocco, visto che sostanzialmente non esiste più, è destinata a scomporsi e ricomporsi chissà come nei prossimi mesi e a dar vita ad ad una rissa perpetua che potrebbe anche condurci, non è purtroppo da escludere, in un baratro senza ritorno.
Salvini ha scelto Orbán e il già menzionato Gruppo di Visegrád, conducendoci fuori dalla nostra collocazione abituale e dal nostro naturale sistema di alleanze continentali. Una decisione che fa accapponare la pelle ma almeno chiara, intellegibile. Fino a quando chi vorrebbe opporglisi non ci farà capire da che parte sta, al fianco di chi intende camminare e quale modello sociale ha in mente di costruire, l'uomo in felpa dilagherà. E non sarà certo la magistratura, pur meritevole del massimo rispetto, a fargli opposizione: chi lo pensa, oltre a non aver capito nulla della divisione dei poteri propria di uno Stato di diritto, non ha imparato niente dalla lezione storica che venticinque anni di berlusconismo ci hanno impartito

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