di Roberto  Bertoni.

Prestiamo molta attenzione a ciò che sta accadendo in Germania e a ciò che potrebbe avvenire nelle prossime settimane, nel caso in cui il ministro degli Interni e leader della CSU, storico alleato della CDU, dovesse uscire dal governo e dalla maggioranza, mettendo l'esecutivo in grandi difficoltà (la crisi per ora è rientrata, ma quanto durerà l'accordo?). Intendiamoci: per via del meccanismo della sfiducia costruttiva e della disponibilità dei verdi a sostenerlo, il quarto governo Merkel potrebbe pure salvarsi, anche se traballerebbe non poco, esponendosi agli strali e al fuoco di fila dei bavaresi in piena deriva anni Venti e dei neo-nazisti semi-ufficiali di Alternative für Deutschland.
Prestiamo molta attenzione, dunque, a ciò che sta accadendo in Germania perché potrebbe costituire il detonatore della catastrofe che potrebbe verificarsi nel resto del Vecchio Continente di qui a un anno.
Il prossimo appuntamento elettorale riguarda, infatti , la Svezia, dove il 9 settembre non è da escludere che Sverigedemokraterna, una formazione di estrema destra, la cui massima aspirazione è l'uscita del paese dall'Unione Europea, conquisti il potere, assestando un ulteriore colpo di piccone ad un edificio già minato dalla Brexit e messo a dura prova da dieci anni di austerità inconsulta e da politiche insulse e pericolose, dalle quali, duole dirlo, la cancelliera Merkel è stata tutt'altro che esente.
Se la Grecia è ridotta come sappiamo, difatti, è perché a suo tempo non la si volle salvare, quando il salvataggio sarebbe costato quaranta miliardi di euro, preferendo lanciare un messaggio deleterio alle presunte "cicale" del Sud Europa che nulla ha a che spartire con i pilastri di solidarietà e sussidiarietà sui quali dovrebbe fondarsi l'Europa e inviando un monito devastante alle altre nazioni in difficoltà. La conseguenza è stata il tracollo del debito pubblico, esploso pressoché ovunque, una disoccupazione, in particolare giovanile, che ha minato alla radice il patto sociale fra il cittadino e lo Stato e una perdita di potere d'acquisto che ha portato alla scomparsa di quella democrazia del ceto medio che era stata alla base dei "trenta gloriosi" e che aveva retto anche alle ondate di liberismo selvaggio che si erano abbattute sul mondo nei trent'anni successivi. Non ha retto, ahinoi, alla stupidità di una classe dirigente che, complessivamente, si commenta da sola, di una linea economica assurda, di una rotta sostanzialmente insostenibile, e con essa è franata la costruzione europea, al pari delle prospettive, delle aspettative e delle speranze di milioni di persone, riscopertesi improvvisamente razziste, insofferenti nei confronti del prossimo e cariche d'odio, di rabbia e di una furia che mai esse stesse avrebbero creduto potesse appartenere loro. Tutto questo perché è stata l'Europa a tradire, è stata la politica a non svolgere il proprio dovere, è stata la sinistra ad abbracciare i dogmi del mercantilismo, favorendo l'ascesa di una destra di matrice sociale e protezionista ben diversa da quella che ci eravamo abituati a conoscere negli ultimi tre decenni. La destra oggi ha il volto feroce di Salvini e di Orbán, di Marine Le Pen e di Farage, dei pericolosi gruppi nordici e di Alba Dorata, e il progetto di una Lega delle Leghe, lanciato domenica scorsa dal leader del Carroccio a Pontida, va preso molto sul serio, in quanto non è affatto detto che non si realizzi.
È molto più difficile, invece, che si realizzi un'unità progressista, visto che i sedicenti socialdemocratici tedeschi sono stati primi a fare la voce grossa nei confronti di Tsipras e della Grecia, dopo aver proposto l'introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione ed essersi snaturati al punto che ormai la Merkel e l'ala del partito a lei vicina li hanno scavalcati a sinistra. Così come è pressoché impossibile ricondurre Macron nel campo della sinistra, lui che ha fatto del superamento dei concetti di destra e sinistra la propria bandiera, finendo col risultare un soggetto indistinto e indigeribile che esercita con rara tracotanza politiche dannose e controproducenti, le quali stanno mettendo a repentaglio la coesione sociale francese. Quanto all'Italia e alle sorti del PD e di ciò che si muove alla sua sinistra è opportuno stendere un velo di pietoso silenzio: c'è poco da dire, se non auspicare che un nuovo gruppo dirigente abbia la forza di spianare tutto e provare a ripartire, contrastando e sconfiggendo tutte le rendite di posizione dei vari capi e capretti che hanno condotto la sinistra nell'abisso.
Certo, Spagna e Portogallo costituiscono una piccola speranza, ma senza il peso di Italia e Francia il cosiddetto "ClubMed", a lungo auspicato dallo stesso Prodi, non ha e non avrà mai la forza di imporsi sulla prepotenza nordica.
E poi c'è la questione dei migranti, e qui davvero l'Europa si gioca il suo destino. Sui migranti si parrà la nostra nobilitate: dalla gestione del fenomeno capiremo se questo progetto possa avere ancora un futuro, trasformandosi in un grande sogno collettivo, o se sia ormai del tutto collassato, essendo diventato un incubo sotto le sembianze di una fortezza cinica e respingente.
L'amara verità è che questi poveri cristi in fuga dalla miseria e dalla fame, questi ultimi della Terra, questi disperati che hanno venduto tutto e affrontato traversie d'ogni genere pur di provare a garantire a se stessi e alla propria famiglia un avvenire migliore, la verità è che non li vuole nessuno. La verità è che il nostro egoismo ci porta sempre più spesso ad erigere muri, anche virtuali, ad espellere il dolore e la sofferenza dai nostri centri urbani, a chiudere gli occhi e a voltarci dell'altra parte. La verità è che non abbiamo capito nulla, ad esempio che l'Africa finirà col travolgerci, essendo stata spolpata e devastata per secoli e ora abbandonata in preda ad una crescita demografica fuori controllo e ad una povertà che va di pari passo con le carestie e il formarsi di organizzazioni terroristiche sempre più potenti e malvagie. Senza dimenticare le dittature, per esempio quella eritrea, con il suo servizio militare che dura quarant'anni, le quali costituiscono un altro ottimo motivo di fuga per milioni di persone.
Quella che stiamo vivendo è la notte dell'Europa, la fine di ogni possibilità di integrazione, del concetto stesso di coesione sociale e del valore supremo della dignità umana.
La verità, tremenda ma da dirsi senza giri di parole, è che a noi, complessivamente, dei morti annegati in fondo al Mediterraneo non ce ne importa nulla, come nulla ci importa dei migranti rinchiusi nei lager libici, di un intero continente che grida aiuto, delle periferie che esplodono e della rabbia sociale che monta, di pari passo con l'ipocrisia e l'inadeguatezza di chi gestisce il potere con rara protervia.
Da una parte abbiamo chi parla di "buonismo", umiliando ed irridendo chiunque osi ribellarsi alla cattiveria imperante; dall'altra abbiamo l'atteggiamento insulso, quando non addirittura corrivo, di chi non capisce che la furia delle periferie degradate e costrette a sobbarcarsi il peso integrale dei flussi migratori non può essere derubricata a mero razzismo, in quanto la solidarietà è indispensabile non solo fra i vari paesi europei ma anche all'interno delle nazioni stesse.
L'Europa muore ogni giorno di più, muore per incompetenza e pressappochismo, per povertà di idee e assenza di princìpi. L'Europa muore perché è diventata squallida e i suoi attuali esecutivi altro non sono che lo specchio di questo declino. L'Europa muore e ciascuno di noi deve sentirsi, in parte, responsabile: per aver agito male o per aver taciuto, per essere stato complice dell'abiezione o per non essersi opposto con la dovuta energia.
Per la prima volta, non so se usciremo da questa notte continentale né, tanto meno, come. Di sicuro, se mai dovesse sorgere l'alba, passeggeremmo su un tappeto di macerie: le nostre illusioni distese a terra, insieme ai corpi delle migliaia di persone che ci hanno chiesto soccorso e si sono trovate davanti il ringhio barbaro di una civiltà perduta. E così, siamo rimasti intrappolati dai reticolati di filo spinato che noi stessi abbiamo costruito ed esaltato, incuranti di un mostro chiamato Auschwitz che è risorto, sia pur in altre forme, proprio là dov'era nato una prima volta e dove speravamo di poterlo custodire come monumento imperituro alla scomparsa del concetto di umanità e alle sue conseguenze. 

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