di Roberto Bertoni.

"Ma, credo, lavorare non basterà; e nel desiderio invincibile di "quiete", anche se laboriosa, è il segno dell'errore. Perché in questo bisogno di quiete è il tentativo di allontanarsi da ogni manifestazione politica. È il tremendo, il più terribile, credetemi, risultato di un'opera di diseducazione ventennale, di diseducazione o di educazione negativa, che martellando per vent'anni da ogni lato è riuscita ad inchiodare in molti di noi dei pregiudizi. Fondamentale quello della "sporcizia" della politica, che mi sembra sia stato ispirato per due vie. Tutti i giorni ci hanno detto che la politica è un lavoro di "specialisti". Duro lavoro, che ha le sue esigenze: e queste esigenze, come ogni giorno si vedeva, erano strettamente consimili a quelle che stanno alla base dell'opera di qualunque ladro e grassatore. Teoria e pratica concorsero a distoglierci e ad allontanarci da ogni attività politica. Comodo, eh? Lasciate fare a chi può e deve; voi lavorate e credete, questo dicevano: e quello che facevano lo vediamo ora, che nella vita politica - se vita politica vuol dire soprattutto partecipazione ai casi nostri - ci siamo stati scaraventati dagli eventi". E ancora: "Al di là di ogni retorica, constatiamo come la cosa pubblica sia noi stessi, la nostra famiglia, il nostro lavoro, il nostro mondo, insomma, che ogni sua sciagura è sciagura nostra, come ora soffriamo per l'estrema miseria in cui il nostro Paese è caduto: se lo avessimo sempre tenuto presente, come sarebbe successo questo? L'egoismo - ci dispiace sentire questa parola - è come una doccia fredda, vero?

Sempre tutte le pillole ci sono state propinate col dolce intorno; tutto è stato ammantaro di retorica. Facciamoci forza, impariamo a sentire l'amaro; non dobbiamo celarlo con un paravento ideale, perché nell'ombra si dilati indisturbato. È meglio metterlo alla luce del sole, confessarlo, nudo, scoperto, esposto agli sguardi: vedrete che sarà meno prepotente. L'egoismo, dicevamo, l'interesse, ha tanta parte in quello che facciamo: tante volte si confonde con l'ideale. Ma diventa dannoso, condannabile, maledetto, proprio quando è cieco, inintelligente. Soprattutto quando è celato. E, se ragioniamo, il nostro interesse e quello della "cosa pubblica", insomma, finiscono per coincidere".

Quelle che ho citato sono alcune parti dell'ultima, straziante lettera scritta dal partigiano Giacomo Ulivi, fucilato a Modena a soli diciannove anni, il 10 novembre 1944, il quale asseriva con franchezza che la sua morte e la rovina del Paese durante il ventennio erano colpa, soprattutto, del disincanto, del disimpegno e dell'abbandono della battaglia civile e politica ad opera di un popolo che pure era stato protagonista del Risorgimento e di alcune fra le pagine più nobili della storia europea.

Scrive, infatti, Ulivi: "Come vorremmo vivere, domani? No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che tutto è successo perché non ne avete più voluto sapere. Ricordate, siete uomini, avete il dovere se il vostro istinto non vi spinge ad esercitare il diritto, di badare ai vostri interessi, di badare a quelli dei vostri figli, dei vostri cari. [...] Se credete nella libertà democratica, in cui nei limiti della Costituzione, voi stessi potreste indirizzare la cosa pubblica, oppure aspettare una nuova concezione, più egualitaria della vita e della proprietà. E se accettate la prima soluzione, desiderate che la facoltà di eleggere, per esempio, sia di tutti, in modo che il corpo eletto sia espressione diretta e genuina del nostro Paese, o restringerla ai più preparati oggi, per giungere ad un progressivo allargamento? Questo ed altro dovete chiedervi. Dovere convincervi, e prepararvi a convincere, non a sopraffare gli altri, ma neppure a rinunciare. Oggi bisogna combattere contro l'oppressore. Questo è il primo dovere per noi tutti: ma è bene prepararsi a risolvere quei problemi in modo duraturo, e che eviti il risorgere di essi ed il ripetersi di tutto quanto si è abbattuto su di noi".

Un manifesto politico straordinario, un programma di lotta e di vita ancor oggi non solo condivisibile ma assolutamente commovente, reso ancor più incredibile dalle circostanze in cui è stato redatto, ad opera di un ragazzo ben cosciente del fatto che questa nuova Italia lui, purtroppo, non l'avrebbe vista eppure desideroso di lasciare in eredità alle generazioni successive qualcosa di bello, di grande e di importante. Non so voi, ma io credo che in questa lettera siano costituite le basi morali della nostra Costituzione.

E veniamo all'oggi e alla tristissima realtà con la quale siamo chiamati a fare i conti. Non lontano da Modena, a Carpi, un ragazzo di diciassette anni ha ricevuto, di recente, un 6 in condotta per essersi lamentato su Facebook del trattamento riservatogli dall'azienda in cui era stato mandato a svolgere l'alternanza scuola-lavoro. Ora, posto che questo ragazzo ha sbagliato perché nel mondo del lavoro esistono delle regole ben precise e non si può mettere pubblicamente in cattiva luce l'azienda presso cui si lavora, altrimenti le si provoca un danno di immagine non indifferente e, in alcuni casi, esiziale, ma davvero ha senso essere così duri con uno studente, peraltro bravo a scuola, la cui unica colpa è quella di non conoscere ancora le leggi e le asprezze della vita e di un ambiente per lui del tutto nuovo?

Torniamo sempre lì: milioni di persone non hanno abbandonato il PD perché non hanno capito la sua linea politica e la sua visione del mondo ma perché l'hanno capita sin troppo bene, e soprattutto si sono resi conto che il referendum costituzionale altro non era che la chiave di volta di una complessa struttura di controriforme volta ad alterare il nostro modello di sviluppo e di convivenza civile, al fine di sostituirlo con un verticismo sulla cui pericolosità ci siamo soffermati già molte volte in passato.

Quando si pretende di educare una generazione con la Buona scuola per poi assumerla col Jobs Act, è ovvio e sacrosanto che essa si ribelli, scenda in piazza e voti chiunque le prometta un minimo di dignità e lo smantellamento di queste pessime e insostenibili leggi, anche se si tratta di Di Maio e Salvini.

E qui veniamo all'opposizione di sinistra, dopo aver passato al setaccio quella leghista e pentastellata per settimane. Ebbene, sabato scorso, a Roma, presso il Centro Congressi Cavour, si è svolto un incontro intitolato "Sinistra anno zero", promosso da Peppe Provenzano, economista siciliano e vice-direttore dello SVIMEZ, e da altri giovani dirigenti del Partito Democratico.

Caro Peppe e cari tutti, mi dispiace molto non aver potuto partecipare, in quanto ero fuori Roma per presentare il mio nuovo saggio dedicato al protagonismo giovanile nell'ultimo secolo, ma comunque ho ascoltato in seguito numerosi interventi e devo dire che la maggior parte di essi ha destato in me sensazioni positive. Certo, il fatto che il più lucido sia stato quello di Macaluso la dice lunga sulla tempra e il livello culturale di quella generazione e sulle conseguenze di trent'anni di predicazione neo-liberista e di distruzione sistematica della politica, della cultura e del legame imprescindibile fra le due materie, ma tralasciamo questo argomento.

Bene i giovani, bene la relazione introduttiva, buoni spunti di riflessione, ottimi propositi per il presente e per il futuro ma c'è un ma, anzi una rimozione, sulla quale non posso non soffermarmi.

Caro Peppe, ciò che molti sembrano non voler capire è che ormai il fascismo non è alle porte ma dentro di noi: ha invaso le nostre società, ha avvelenato il nostro modo di pensare e di essere, si è palesato nel voto ungherese e nella barbarie siriana, in Libia nell'America di Trump. Il fascismo, infatti, non sono solo i dissidenti incarcerati o spediti al confino, che ovviamente erano una minoranza anche ai tempi di Mussolini, ma è più che mai la violenza, la ferocia, la mancanza di rispetto nei confronti degli avversari, determinati toni e determinati modi di porsi. Il fascismo sono certi programmi e certe idee, è l'eterna P2 italiana, questa "autobiografia della Nazione" dalla quale non riusciamo proprio ad affrancarci; il fascismo è il disprezzo per la politica e il qualunquismo che induce molti, anche involontariamente, a compiere analisi gonfie di disprezzo delle sue pratiche e dei suoi valori; il fascismo è la morte del parlamentarismo e la pretesa di imporre le decisioni a maggioranza, senza mediazioni e senza la benché minima attenzione nei confronti dei corpi intermedi, in nome di una disintermediazione che ha come unico risultato quello di renderci tutti più fragili e più soli, a cominciare dagli ultimi e da coloro che della politica, ossia del governo democratico dei processi sociali, non possono fare a meno.

Caro Peppe, nel corso della tua iniziativa si è parlato molto della globalizzazione senza regole e delle sue conseguenze e ho apprezzato non poco la tua analisi dedicata al PD che è nato vecchio e agli errori e orrori di una sinistra che, negli ultimi venticinque anni, ha lasciato che fosse la peggior destra di sempre ad esercitare una forma di egemonia culturale pervasiva e devastante. Ciò che è mancato, o comunque ho trovato insufficiente, lasciatelo dire, è il tono indulgente di alcuni amici e compagni nei confronti del PD medesimo, come se fosse ancora possibile salvarlo, come se avesse ancora un senso, come se questo progetto non fosse già abbondantemente fallito e non avesse già causato un sufficiente numero di problemi ad un Paese che nel 2011 stava male, forse anche peggio di oggi dal punto di vista economico, ma adesso è letteralmente a pezzi, specie per quanto riguarda il nostro stare insieme.

Il PD è stato, in questi anni, il primo responsabile delle riforme inique e prive di senso che hanno devastato i ceti sociali più deboli, è diventato una sorta di sindacato dei primi municipi, ha accantonato e trattato con disprezzo le periferie, ha squassato quel poco che restava della sinistra, ha irriso con estrema arroganza chiunque si opponesse al suo modo di procedere, ha umiliato più volte le istituzioni (dalla seduta fiume imposta sulla Costituzione ad altre mille forzature procedurali), ha offeso sistematicamente i giovani, accusandoli di essere sostanzialmente degli sfaticati incapaci di comprendere la dura realtà della vita, ha costretto alla scissione personalità come Bersani e D'Alema che, piuttosto che abbandonare il proprio partito, si sarebbero fatte tagliare un braccio e ora sta continuando a dare il peggio di sé, rendendo ancora più delicato e difficile il già tremendo lavoro del presidente Mattarella. E qualcuno ancora mette in dubbio la bontà e la necessità della scissione? E qualcuno ancora parla di rilanciare il PD o di ripartire da esso? Non scherziamo, per favore.

Caro Peppe, in queste nostre iniziative, comprese le migliori come la tua, c'è sempre un limite che ci impedisce di risultare credibili al di là di quel 3-5 per cento di addetti ai lavori di cui io stesso faccio parte: innanzitutto, siamo sempre gli stessi, più un gruppo di amici e una compagnia di giro che un luogo di elaborazione politica desideroso di ricostruire un partito degno di questo nome; e poi il linguaggio, sempre troppo politichese, autoreferenziale, asfittico e inadatto a compiere quelle ammissioni di colpa indispensabili se vogliamo salvare almeno quel minimo di dignità che ci è rimasto.

O cominciamo a dire che la Fornero va progressivamente superata poiché socialmente insostenibile, al pari di tutte le riforme e controriforme renziane, che un partito privo di senso va accantonato per sempre, che per fare politica servono un'identità, un'ideologia e una visione del mondo chiare e ben distinguibili da quelle degli altri, che chi ci disprezza ai limiti dell'odio ha perfettamente ragione perché gli abbiamo rovinato l'esistenza e che fare altro significa andare oltre e, soprattutto, contro noi stessi e ciò che siamo stati fino ad oggi oppure continueremo ad essere quelli di sabato e di sempre. Il che non significa che io non abbia apprezzato o che non sia pronto a fare la mia parte ma che tutti coloro che si sentono esclusi (da quel ragazzo di Carpi ai dannati della globalizzazione che lavorano per Amazon o per Foodora, vittime della democrazia degli algoritmi che democrazia, nei fatti, non è) continueranno a guardare altrove e a detestarci, non senza ottimi motivi per farlo. E allora, quando torneremo alle urne, temo a breve, ti accorgerai che la passione, l'impegno e il voto di quelli come me non solo non bastano ma non servono proprio a niente.

 

Condividi