di Isabella Rossi
Il fascio di luce, che cade sul volto reclinato all’indietro del re, fissa un’istantanea. E’ l’espressione pietrificata del duce seduto sul suo trono, al centro del palco. Alla sua sinistra il ministro, davanti ad una parata di giacche, simili ad uniformi militari, e qualche vestito di scena. Alla sua destra il cuoco pasticcione su cui piovono copiose gittate di farina, ultimi afflati di un benessere passato. Tutto intorno la notte che avvolge gli interni di un palazzo sradicato da ogni realtà. Nella stanza del potere si muovono attori apatici impegnati in bislacche rotazioni di travestimenti, copioni travisati e polverosi cerimoniali di corte. Intanto, fuori "il popolo ha fame e non c’è più niente da mangiare”. Si improvvisa un comizio. Il re e il ministro difendono la ragion di stato, il cuoco viene reclutato a rappresentare quelle dei sudditi affamati. I tre attori si scambiano le parti. Non importa chi sia cuoco o re. Sono tre e una solo e la tragedia è una farsa, recitata con meschino disinteresse. Lo stesso che priva i sudditi di qualsiasi voglia di riscatto. “Io faccio quello che me pare, come le foglie secche confido nel futuro” protesta un uomo livido di rabbia e indolenza nei toni autentici di un dialetto folignate deliziosamente feroce e vivo. Alla sua carica tribale si contrappone il micidiale meccanismo di astrazione ed estraniazione azionato dal potere. Un male, quello, capace di distruggere risorse e soffocare ogni impulso di vitalità. In sottofondo gli echi di un terremoto, di un vecchio aereo da guerra, di una catastrofe imminente e mai scampata.
La Compagnia ZoeTeatro, formata da Michele Bandini ed Emiliano Pergolesi, dopo Quartetto d’Ombre (Rosencrantz e Guildestern sono morti + Vi e Ve) e Metallo, segna con Malacorte, prodotto dal Teatro Stabile dell’Umbria e vincitore di Nuove Creatività, un’ulteriore tappa di un promettente percorso teatrale. Un brillante lavoro in divenire in cui, tuttavia, sembra delinearsi una costante: lo sforzo audace di dialogare con diverse realtà linguistiche, storiche, etniche integrandole in maniera lirica, a volte asimmetrica, senza mai livellare, lasciando intatta tutta la loro carica esplosiva.
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