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di Angela Scarparo Accolgo volentieri la proposta di Alessandro Cardulli di parlare da sola del mio libro. Il libro, che è un romanzo, e non un'autobiografia, si chiama L'arte di comandare gli uomini ed è uscito da pochi giorni. Dico subito che non ho mai avuto come Angela, autrice del romanzo, paura di apparire come una persona sgradevole, o banale, o volgare, o anche esaurita. Questo lo dico subito, e lo dico perché Elisa, la protagonista del libro, un po' lo è. E' tutte queste cose. E' incredibile come le persone che leggono i tuoi libri tendano a mettere i protagonisti di un tuo scritto sullo stesso piano tuo. Cioè, tendano a pensare che tu in un romanzo hai raccontato la tua storia. E' incredbile, ma io penso, anche normale. E' un diritto del lettore, diamine. Io però, non sono Elisa. O meglio. Io, con Elisa, volevo solo descrivere un tipo umano. Un tipo di donna che esiste oggi. Anzi, non solo che esiste, ma che, per esempio, nell'immaginario transgender è vincente. Elisa ascolta Mina. Ha il mito del viso truccato, dello smalto sulle unghie, delle scarpe alte. Si perde nei motivi di Guccini anni '70. Sogna. La lacrima sempre pronta dietro la palpebra. Elisa è una romantica. Elisa cioè è una che non accetta la realtà, e le preferisce l'immaginario. Per esempio. Elisa ha studiato. Si è laureata E' stata capace da sola, di affrontare i libri, e quello che c'è dentro. E' tutta roba d'immaginazione, quella. Ma sul lavoro, no. Lei, che di lavoro dovrebbe fare l'avvocata, e avrebbe voluto "raddrizzare tutti i torti, tutto correggere", non ce l'ha fatta. Quante donne ognuna, ognuno, di noi conosce che non ce l'hanno fatta? Perché la letteratura dovrebbe consolare da quello che non troviamo nella vita? La letteratura è realismo, io credo. E' descrizione di una realtà possibile. Non di quella vera, per me. (Ammesso che una vera realtà esista, ma questa è una vecchia diatriba ). Elisa sogna. Il breve periodo in cui ha lavorato come avvocata, Elisa si è solo concentrata sui torti che la gente subisce, sul male che c'è intorno, su tutto quello che non viene fatto. Ha lavorato in uno studio che si occupava di diritto di famiglia. Ma non è mai andata oltre il fatto di portare i caffè ai clienti. Poiché tutto le fa male, tutto la ferisce, tutto la umilia. Elisa per questo, si è buttata nel sogno. Ed è per questo che ha perso il lavoro. Quando il romanzo inizia la troviamo che non fa niente. Anzi che di lavoro, ama. Un inciso. Qualche tempo fa, anzi tanto tempo fa, nel 1990 uscì, per i tipi di teoria un bel libro intitolato Opportunismo, cinismo, paura nell'età del disincanto. C'erano dentro testi di quelle che sono secondo me, le migliori teste della sinistra degli ultimi anni. Ci hanno scritto Virno, Agamben, Bascetta, Castellano, Piperno, Castellani, Colombo, Ilardi. E' bella la descrizione dell'opportunismo che fanno. Un prolungamento del lavoro, sarebbe. Io credo che la teoria valga anche per questi tempi. L'opportunista per lavorare deve andare a cena fuori, non perdersi l'happy hour, perché è lì che si incrociano relazioni, amori, opportunità, lavoro. Elisa è figlia di questo modo di essere. Elisa, di lavoro, ama. Non è una puttana. Elisa, proprio, ama. La sua vita è quello. Vive, economicamente, alle spalle di qualcuno che è stato con lei. Si racconta un sacco di balle, per accettare di essere quello che è. Proprio come l'opportunista racconta a se stesso di andare al bar per divertirsi. Nulla di più maliconico. Così, nei sui sogni, in ciò che si racconta, come l'opportunista del bar che tutte le sere spera sia quella giusta, Elisa trascorre il suo tempo. Se ne sta in casa a leggere fumetti. Oppure si perde nell'ozio di amori mai avuti, o andati. Aspetta che la malinconia le passi. Di questi amori, spera che qualcuno ritorni, si ricordi di lei. Non è che non faccia niente Elisa. La storia, con lei, come lei, si muove. Va a cercare un ricco industriale con cui ha avuto la storia di due notti. E poi tenta di nuovo con Ruggero, l'avvocato che l'ha abbandonata. E ancora stringe amicizia con un ladro, un penultimo come lei. Sono loro per lei quelli che le danno possibilità di vita. E di lavoro. Di lavoro come qualcosa che è il tuo tempo di vita. Altre non ne vede per sè di possibilità. Elisa, dal padre è è stata più umiliata che compresa. Tenuta a disagio. La madre non c'era. Elisa è una che se ci stai assieme crea disagio a te. A volte se ne sta muta. Altre volte piange. E poi è vestita male. Un'unghia del piede sbreccata. E' sciatta. E se ne vergogna. E allora la nasconde sotto i pantaloni, quell'unghia dipinta male, quando qualcuno gliela nota. Questo il personaggio. Sola. La sua famiglia d'origine è a Milano. Lei a Roma. Nessuno ha bisogno di lei. Nè la sorella, nè la nonna con cui Elisa ha sempre vissuto.Elisa è una superflua. Tutte cose già viste, già raccontate, queste. Lo so. Ma, come dicono gli studiosi, non ci sono che sette trame, (o settanta) nella variegata rosa che costituscono tutte assieme, le storie di tutti i tempi. E' alla fine della storia, alla fine de L'arte di comandare gli uomini che c'è il riscatto, la diversità della donna e della storia. Elisa, che, in puro stile neoromantico, ha molto letto, molto visto film, nel momento in cui come tante donne che conosco, la vorrebbe fare finita e uccidersi, Elisa si salva. Puro melodramma, lo so. Finzione. Perché Elisa si salva grazie a ciò che l'ha condannata. E quante volte succede? Quasi mai, lo so. La letteratura, le trame dei fumetti, sono le cose che la salvano. Elisa dice, di sè, "capì che le donne stupide come lei venivano fuori dall'incrocio fra certi poeti maschi e altre donne stupide". Per uscire dall'immobilità dell'opportunismo, Elisa ci tengo a ripeterlo, usa ciò che l'ha condannata. I libri che ha letto, le storie che ha visto. Elisa è fuori dalla malattia, con queste parole. Resta la malinconia, della storia, e del personaggio, cosa che molte amiche e amici mi rimproverano, ma io non ho paura della malinconia. Condividi