di Roberto Bertoni.

Sciamano quasi senza requie, si muovono da una parte all'altra di piazza Montecitorio, incedono con gli sguardi accigliati, i volti corrucciati, la testa gonfia di pensieri, il cuore gonfio di rabbia, un senso di solitudine e la certezza che è tutto finito. È finita la politica, sono finte le speranze, sono finiti i sogni, è finito il futuro, sono finite le prospettive di dar vita ad un governo minimamente omogeneo, è finita una dialettica civile fra parti contrapposte ma in grado di legittimarsi a vicenda e, cosa ancor più grave, sembra essere finta anche l'intelligenza.

Del resto, basta osservare le candidature dei vari partiti, i rifiuti, i big calati dall'alto e catapultati in realtà di cui conoscono poco o nulla, la disperazione dei militanti sui territori e la certezza che andremo ad eleggere una classe dirigente oggettivamente non all'altezza per trovare tutte le risposte che cerchiamo in merito all'astensionismo e, in particolare, al fenomeno inquietante dell'astensonismo giovanile.

Spiace dirlo, ma non basteranno i pur autorevoli messaggi del presidente Mattarella: condivido le sue affermazioni, i suoi crucci, il suo rammarico ma il presidente sa benissimo di star combattendo una battaglia impossibile, il che rende ancora più nobile la sua figura e ancor più elevata la sua caratura di uomo e di statista. Mattarella sa che andrà a votare al massimo il sessanta per cento del corpo elettorale, forse anche meno; sa che dopo il 4 marzo l'unica prospettiva è un governo del presidente per provare a metter mano alla legge elettorale e tornare alle urne probabilmente l'anno prossimo in concomitanza con le Europee; sa che nessun leader politico contemporaneo gode del prestigio e dell'autorevolezza necessari per assumere un incarico di tale livello; sa che servirà una figura posata e fuori dai giochi e dalla guerriglia cui assisteremo nelle prossime settimane e sa, infine, che anche le riserve della Repubblica scarseggiano e che il massimo che ci possiamo permettere, al momento, sono un Gentiloni o un Tajani. Mattarella, insomma, condivide quest'amarezza e lo si capisce da ogni suo gesto, dalle sue poche ma significative parole, persino dalla nomina a senatrice a vita di Liliana Segre, come se il presidente avesse voluto indicare una strada radicalmente alternativa ad una politica incapace di andare al di là delle scaramucce contingenti. Mattarella sa ma non può farci nulla. Va anche detto, senza mettere in dubbio il suo prestigio, che un piccolo errore l'ha commesso a sua volta, non contrastando con la dovuta fermezza quello scempio del Rosatellum, dopo aver firmato anche il pessimo e incostituzionale Italicum, probabilmente spinto dalla volontà di non aprire uno scontro istituzionale lacerante con Palazzo Chigi, ed è comprensibile, ma spalancano così le porte ad un baratro che potrebbe rivelarsi addirittura peggiore. Non è certo colpa di Mattarella, sia chiaro, ma da un presidente di questo calibro aspettarsi un atto di coraggio in più era legittimo e purtroppo non è arrivato, al che siamo al cospetto di un disastro annunciato, di una catastrofe imminente, di un'elezione a vuoto dalla quale non emergerà alcuno schieramento in grado di assumersi la benché minima responsabilità di governo e sarà necessario dar vita ad un qualche pateracchio la cui massima ambizione sarà quella di tirare a campare.

Il renzismo, venuto su come una possibile rivoluzione culturale e presentatosi alla ribalta con un'aura di novità che aveva illuso la maggior parte degli osservatori, si è rivelato per ciò che, in realtà, è sempre stato: una forma di andreottismo in salsa toscana, senza il genio irriverente e l'ironia spiazzante dell'originale.

E così, al termine di questi anni sbagliati, di questa legislatura folle e di una quantità impressionante di strappi e forzature, ci troviamo a fare i conti con alleanze innaturali, connubi risibili, coalizioni fittizie e altamente improbabili, persone diversissime tenute insieme unicamente dalla sete di poltrone e potere, tanto a destra quanto a sinistra, e con il M5S, l'unica forza a rifiutare per il momento il concetto stesso di alleanze, comunque costretto a confrontarsi con le proprie contraddizioni e con le non piccole divergenze fra l'ala dimaiana, tendente verso la Lega, e quella vicina a Fico che mai e poi mai sarebbe disposta ad accettare questo genere di alleanza.

Sciamano, come detto, queste anime in pena, in parte responsabili della rovina appena descritta, in parte vittime della medesima, in parte da sempre all'opposizione dello schema inaugurato dalla vicenda dei centouno che silurarono la candidatura di Prodi al Quirinale ma purtroppo non in grado di offrire un'alternativa credibile al quadro politico attuale.

Sciamano e non sembra nemmeno di essere campagna elettorale: mancano l'atmosfera, la convinzione, il coraggio la passione civile, manca l'entusiasmo e persino la voglia di raccontare questo nulla travestito da battaglia politica, senza idee e senza valori, come se ormai il pensiero unico liberista, sconfitto in ogni angolo del mondo dalla crisi esplosa dieci anni fa, in Italia avesse conquistato un'egemonia che nessuno ha il coraggio di provare realmente a scardinare.

Sciamano e, in alcuni casi, mi auguro persino che riescano a tornare in Parlamento, in quanto si tratta comunque di persone perbene che meriterebbero ben altro rispetto e considerazione.

Sciamano in una politica ridotta a Intifada, ad una faida di quartiere, ad una lotta senza ideali, ad uno scontro di ego esagerati e privi della benché minima attenzione alla cosa pubblica e al bene comune.

Sciamano e alla nostra retorica domanda iniziale si può rispondere in un solo modo: questa campagna elettorale finirà senza mai essere iniziata, proprio come la scorsa legislatura, proprio come la prossima, proprio come questa stagione senza prospettive, nella quale la rassegnazione regna sovrana e le sofferenze individuali e collettive si mescolano in un insieme di dolore, sconcerto, sconforto, disperazione e assenza.

Sciamano e noi attendiamo, inerti, il prossimo 4 marzo, quando andremo a votare senza convinzione e continueremo a lottare più per non arrenderci all'evidenza che per quel senso dello Stato e delle istituzioni che pure ci ha sempre animato.

Sono le conseguenze del trentennio tragico, di leggi elettorali pessime, della scomparsa di partiti degni di questo nome, della morte del dibattito pubblico e della certezza che non rinascerà a breve.

Questa è la realtà: se volete qualcuno che la edulcori o vi dica il falso per non amareggiarvi troppo, siete liberi di rivolgervi altrove. Io le bugie non le so e non lo voglio raccontare.

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