di Roberto Bertoni.

Il dibattito europeo dell'ultima settimana è stato caratterizzato dalle parole del commissario all'Economia Moscovici e di altri esponenti della tecnocrazia bruxellese, preoccupati, a quanto si apprende, per le sorti del nostro Paese dopo le elezioni del prossimo 4 marzo.

Al che viene da dire con franchezza al sedicente socialista transalpino che, innanzitutto, se c'è un governo che ha sforato il tetto del deficit, portandolo momentaneamente al 4,4 per cento, è stato il governo francese, il cui ministro dall'Economia si chiamava Emmanuel Macron; in secondo luogo, che non sta né in cielo né in terra che si debba continuare a considerare un dogma questo parametro estratto dal cilindro negli anni Ottanta da Guy Abeille, un funzionario del governo Mitterrand, per consentire al presidente socialista di mantenere le proprie considerevoli promesse elettorali; infine, che se c'è un paese che, saggiamente, non ha mai inserito il pareggio di bilancio in Costituzione, questo è la Francia mentre noi, sotto la guida di Monti, abbiamo applicato alla nostra economia e ai nostri servizi sociali quantità di austerity così massicce che hanno condotto un partito nato da pochi anni e dai contorni tuttora poco chiari al 25 per cento. Pertanto, il nostro eroe dovrebbe tacere, evitare di intromettersi in questioni che non lo riguardano in prima persona, cominciare a rispettare le scelte del popolo italiano e smetterla, lui sì, di favorire implicitamente l'ascesa di quelle forze populiste, xenofobe e regressive che giustamente gli destano orrore, proprio come ne destano a chi scrive.

Ribadisco, inoltre, per l'ennesima volta quanto ho asserito già in altre occasioni: non si può ridurre un popolo alla fame, una generazione all'incertezza assoluta e il mondo del lavoro ad un ritorno all'Ottocento e poi pretendere dalle vittime di tutto ciò di solidarizzare, votare e considerare dei galantuomini i propri carnefici. Va bene tutto, monsieur Moscovici, ma l'ipocrisia no o, almeno, non fino a questo punto; e se il suo partito è passato dall'essere uno dei due capisaldi del sistema politico francese alla quasi lotta clandestina, si ponga qualche domanda e accantoni un'arroganza saccente che non si può permettere.

Ciò detto, è altrettanto vero che durante i mille giorni di Renzi, pur avendo ricevuto dall'Europa notevoli dosi di flessibilità e benevolenza per quanto concerne i nostri traballanti conti pubblici, abbiamo miseramente sprecato sia l'occasione del semestre europeo sia le risorse che ci venivano concesse (per non parlare poi dei benefici di cui abbiamo goduto grazie al Quantitative easing di Draghi, il quale, acquistando ogni mese i nostri titoli di Stato, ci ha consentito di calmierare lo spread e di tenere a bada i tassi d'interesse sul nostro esorbitante debito pubblico), dissipando montagne di denaro in bonus, mance e altre misure di stampo elettorale che oltretutto, per eterogenesi dei fini, anziché indebolire i tremendi populisti, hanno finito col rafforzarli. Peccato che all'epoca la socialdemocrazia europea, invece di indignarsi per questa deriva, plaudisse a scena aperta alle virtù del "Rottamatore", arrivando persino a bacchettare e a considerare quasi degli amici della Le Pen coloro che si opponevano allo stravolgimento della nostra Costituzione.

E qui si torna alla natura stessa dell' Unione Europea, ai suoi limiti costitutivi e alle sue prospettive per il futuro. Dire più Europa, mi spiace per qualche autorevole esponente politico, di cui su alcuni temi specifici ho pure una grande stima, non significa nulla. Più Europa è un concetto ambiguo, generico e buono per tutte le stagioni. Questa Europa, al contrario, non funziona, non è accettabile ed è quanto di lontano si possa immaginare dagli ideali spinelliani espressi sull'isola di Ventotene. Questa Europa che tollera il neo-fascismo polacco e consente a Orbán di far parte della famiglia politica che fu di Adenauer e degli altri padri di questo nobile progetto non è sopportabile: l'ipocrisia va contrastata su tutti i fronti e ciò che rimproveriamo a Moscovici non siamo certo disposti a condonarlo ai suoi avversari.

Mi spiace per la Bonino e per i suoi sostenitori, ma l'Europa non può essere ridotta ad una mera questione di Erasmus e vantaggi per le classi sociali più colte, più agiate e naturalmente propense ad accettare una modernità alla quale riescono facilmente ad adattarsi. Lo dico da europeista convinto: o questo continente ritrova un'anima, un'identità e riesce a coinvolgere anche coloro che oggi si sentono abbandonati a se stessi o non avrà un domani.

E guai a illudersi che la sinistra dei "carini", molto simile allo sketch di Crozza quando imita Montezemolo e la sua cerchia, con qualche venatura sociale, un po' di moderatismo e un programma economico complessivamente di marca liberista, guai a pensare che i Renzi, i Rivera e i Macron possano costituire un argine alle pulsioni più retrive che covano nelle nostre irrequiete società. Questa "sinestra", giovane, sorridente, ben pettinata, post-ideologica e in grado di incorporare le larghe intese all'interno di una singola formazione, può piacere, e difatti piace, ad alcuni editorialisti con l'attico in centro, ad alcuni esponenti di una finanza meno predona rispetto a quella degli "animal spirits" reaganiani, ad alcuni benestanti con molto reddito e altrettanto patrimonio da difendere ma non a tutti gli altri.

Per carità, non ho nulla contro l'idea di un partito e di un sindacato trans-nazionali, non ho nulla contro gli Stati Uniti d'Europa, non ho nulla contro un confronto franco e di valore di matrice europea, non ho nulla contro le famiglie internazionali e, anzi, vorrei che il sogno dei padri del Vecchio Continente potesse presto trasformarsi in realtà. Mi limito solo a far presente che la sinistra che fa cose di destra, limitandosi, al massimo, ad intestarsi qualche piccolo passo avanti sul tema dei diritti civili, va nella direzione opposta.

Non vorrei essere frainteso: i diritti civili sono importantissimi e ogni piccolo asuvavanzamento su questo terreno dev'essere accolto con entusiasmo e difeso strenuamente. Fatto sta che non ci sarà mai il consenso necessario per approvare una norma imprescindibile come lo Ius soli fino a quando non si restituirà dignità al lavoro e l'immigrato che fugge dalla miseria e dalla guerra non verrà visto come un fratello non solo da chi abita nei primi municipi ma anche da chi vive in periferia e oggi soffre per la mancanza di servizi, i cumuli di immondizia e le innumerevoli privazioni cui sono soggetti coloro che vivono nelle aree più disagiate delle nostre città.

O si va avanti insieme, ci si prende per mano e si cammina tutti nella stessa direzione o l'unica direzione che verrà seguita sarà quella che conduce alla barbarie.

Concludo quest'analisi di carattere internazionale con una riflessione dedicata alla sofferta decisione dei socialdemocratici tedeschi di dare il via ad una nuova edizione della grande coalizione con la Merkel: forse non si poteva diversamente, non lo metto in dubbio, ma è altrettanto fuor di dubbio che la generazione degli Schulz e dei Gabriel debba passare la mano e coinvolgere sempre di più i giovani del partito, restii ad accettare quest'accordo e desiderosi di alzare, anche sulle rive del Reno, la bandiera del socialismo tornata in auge nel mondo grazie all'impegno di Sanders e Corbyn. Emarginare la coraggiosa battaglia di Kevin Kühnert e dei ragazzi dello JUSOS (la giovanile socialdemocratica) equivarrebbe infatti ad uccidere l'SPD, aprendo un'autostrada alle idee bestiali di Alternative für Deutschland e PEGIDA.

Se la linea decisa a Bonn dovesse invece diventare il destino dell'SPD, le sorti della Germania potrebbero rivelarsi simili a quelle degli anni Trenta. Essere responsabili non significa, pertanto, solo accettare quest'ennesimo amaro calice ma anche lavorare per un futuro diverso, in cui destra e sinistra, democristiani e socialdemocratici tornino ad essere avversari e a sfidarsi lealmente ponendo al centro l'interesse del Paese.

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