Paolo Gentiloni,una garbata delusione.
di Roberto Bertoni
Con tono curiale e incline alla mediazione, tipico della nobile casata Gentiloni-Silveri, un presidente del Consiglio che nelle intenzioni di Renzi sarebbe dovuto rimanere in sella per alcune settimane, massimo qualche mese, prima di tornare alle urne in fretta e furia nel bel mezzo del 2017, si appresta non solo a portare a compimento la legislatura a scadenza naturale ma, probabilmente, a succedere a se stesso. Stando agli ultimi sondaggi, infatti, i proclami indiavolati dei vari attori politici che in queste settimane hanno iniziato a scaldare i motori, rilasciando interviste a dritta e a manca e sproloquiando, spesso a sproposito, su ogni argomento dello scibile umano, non hanno modificato in maniera significativa le intenzioni di voto degli italiani. A naso, al di là della coraggiosa sinistra che si è da poco riunita intorno al presidente Grasso e di quella un po' pazzerella che ha dato vita alla lista Potere al popolo, abbiamo tre poli: l'ex centrosinistra allargato agli "alfaniani buoni" e a pezzi di centrodestra che non possono soffrire il populismo lepenista di Salvini, il M5S e una sorta di destra-centro, con il suddetto Salvini a menare le danze e Berlusconi pronto a prendere in mano il timone un minuto dopo la chiusura dei seggi. Sia Di Maio che Salvini, difatti, si giocano tutto: tralasciando l'utopia del 40 per cento, o il M5S raggiunge almeno quota 30, ponendosi dunque come attore imprescindibile per qualsivoglia futura maggioranza di governo, oppure la carriera politica dell'arrembante leader campano subirà una battuta d'arresto che potrebbe persino costringerlo all'addio o, comunque, ad un significativo ridimensionamento delle proprie ambizioni politiche; quanto al leader leghista, o la destra-centro sfiora o addirittura supera quota 40, e allora potrà proporsi o come presidente del Consiglio o, più realisticamente, come ministro dell'Interno di un esecutivo a guida Tajani, oppure le vecchie sirene bossiane, restie alla nazionalizzazione e allo spostamento all'estrema destra del Carroccio, torneranno prepotentemente a farsi sentire. Per quanto concerne il PD, c'è poco da dire: è fuori dai giochi, isolato e privo della benché minima possibilità di incidere sui futuri equilibri politici, se non come junior partner di un governo di larghe intese con Forza Italia, nel quale tuttavia stavolta sarà l'ex Cavaliere a dare le carte, trasferendo la sede delle trattative da Largo del Nazareno a Palazzo Grazioli.
Colpa di una strategia sbagliata, certo; tuttavia, sbagliano anche quei commentatori che sottovalutano il fatto che nel renzismo non è stata solo la gestione post-referendaria ad essere assurda bensì tutta la loro scalata ai vertici del potere. Una classe dirigente complessivamente inadeguata, improvvisata, drammaticamente carente sul piano dell'analisi storica e desiderosa più di regolare i conti con il vecchio establishment che di proporre una visione del mondo e della cosa pubblica alternativa a quella seguita negli ultimi trent'anni, il tutto aggravato dalla mancanza di un effettivo senso della complessità del governare, di una comprensione dei fenomeni e dei rivolgimenti globali in atto, del cambio di paradigma cui stiamo assistendo ormai da diversi anni e delle conseguenze che questo passaggio d'epoca comporta. Il renzismo, pertanto, altro non è stato che la coda avvelenata del berlusconismo: un tardo-blairismo con spruzzate thatcheriane che non ha tenuto conto del mutamento di fase, delle rivoluzioni intercorse negli ultimi tre decenni, del cambiamento di assetti mondiali imposto dalla crisi economica esplosa a cavallo fra il 2007 e il 2008 e delle richieste e delle esigenze delle generazioni figlie della crisi e dell'incertezza che in quest'ottimismo di maniera, predicato strumentalmente dalle sinistre della Terza via, proprio non riescono a riconoscersi.
E qui torniamo a Gentiloni e ad uno dei passaggi più significativi della sua conferenza stampa di fine anno, ossia quello relativo al "forgotten man", al cittadino dimenticato, abbandonato e condannato a fare i conti, da solo e senza i mezzi necessari per farvi fronte, con un diluvio storico cui non è in grado di resistere. Davvero ci sorprende, dunque, che quest'uomo, sia che abiti a Vibo Valentia sia che abiti nella cinghia della ruggine americana, alla fine si affidi ai cosiddetti "populisti"? Il nobile di Filottrano, con la consueta eleganza ed esibendo una cultura storica sconosciuta al suo predecessore, ha ricordato come quest'espressione tipica di Roosevelt sia stata di recente ripresa da Trump: eh già, caro Gentiloni, è per questo che Trump ha vinto mentre la milionaria avvocatessa Clinton, da sempre amica intima dei magnati di Wall Street, ha scaldato unicamente i cuori del potere economico, del potere politico e delle star di Hollywood, incapace com'era di comprendere che il resto dell'America ha smesso da tempo di credere a qualsivoglia forma di sogno per affidarsi al bieco pragmatismo di un cinico bancarottiere il cui solo, enorme merito, ai suoi occhi, era quello di essere detestato dall'establishment.
Quello americano, quindi, non è stato un voto di fiducia nei confronti di Trump quanto, più che mai, un voto di sfiducia nei confronti dell'ala bushiana del GOP e del clan Clinton, con annessa Clinton Foundation, nel campo democratico.
E poiché il conte Gentiloni sa benissimo che Roosevelt è il presidente che, varando il New Deal e il Glass-Steagal Act salvò l'america dal baratro mentre l'Europa era funestata da strazianti regimi dittatoriali, siamo certi che sappia anche che è stato proprio Bill Clinton a rivendicare il primato dell'economia sulla politica, ad abolire il Glass-Steagal Act, con conseguente finanziarizzazione del sistema bancario, e a spalancare porte e finestre agli spiriti animali del capitalismo: gli stessi che dieci anni dopo hanno spolpato l'America e, nonostante la felice parentesi Obama, ne hanno cambiato irrimediabilmente il volto, al punto che oggi la generazione che nel 2011 manifestava a Zuccotti Park o si affida ad un anziano senatore del Vermont che si dichiara senza remore socialista o semplicemente non vota mentre il resto di quel paese, sentendo di non avere nulla da perdere, si toglie lo sfizio di provare a trascinare nel baratro anche coloro che ritiene responsabili della propria rovina.
Sono questi, infatti, i sentimenti che animano le scelte delle classi svantaggiate: rabbia, odio, invidia, disperazione e un desiderio di vendetta che nemmeno il Conte di Montecristo, salvo poi scoprire, a proprie spese, che il presunto paladino dei diritti degli ultimi e dei deboli è, in realtà, il primo sostenitore di una riforma fiscale aberrante che premia i più ricchi, riducendo loro le tasse e rispolverando i dogmi del "trickle-down" (lo sgocciolamento) reaganiano, ossia di una visione economica anti-sociale ed egoistica che era una fesseria già all'epoca, in tempi di benessere ed edonismo, figuriamoci adesso, in tempi di vacche magre ed indigenza diffusa.
Saprà anche, il nobile di Filottrano, ex ministro degli Esteri, che la rivolta del "volgo" delle periferie ha messo in ginocchio finanche due potenze egemoni come Francia e Germania, le quali a est sono costrette a fare i conti, rispettivamente, con il partito della signora Le Pen, con un'Alternative für Deutschland che dal liberismo e dall'anti-europeismo sta cominciando ad occhieggiare al nazismo e con un movimento palesemente xenofobo come PEGIDA.
Sono le conseguenze del "forgotten man", caro Gentiloni, lei lo sa ed è per questo che è assolutamente inaccettabile quando rivendica, giusto per tenere il punto, i meriti di due esecutivi che hanno contribuito ad accrescere questo senso di esclusione sociale, di vessazione e di mancanza di protezione che nelle urne si farà sentire e peserà come un macigno, non meno delle vicende emblematiche della piccola Banca Etruria.
Per questo, pur apprezzando la gentilezza dei modi di questo galantuomo dal sangue blu, reputo la sua esperienza di governo una profonda delusione, ritenendo le sue virtù e la sua indubbia competenza altrettante aggravanti, come quando a scuola la professoressa dice alla mamma che il ragazzo è bravo ma non si applica.
Pertanto sì, Gentiloni è stato l'uomo dell'anno, almeno per quanto riguarda la politica italiana, ma in negativo. Quanto alla Boschi, la sua avventura politica si è conclusa la sera del 4 dicembre 2016, quando sull'impero di cartapesta del renzismo è tramontato definitivamente il sole, e ciò a cui siamo stati costretti ad assistere negli ultimi dodici mesi altro non è stata una lenta agonia che ci ha indotto, più volte, a provare un sentimento di umana compassione nei confronti della vittima sacrificale di questo calvario.
E ora che la stagione delle "tigri di carta", per usare un'espressione maoista, si è conclusa, ci attende il regno del caos. Ma sì, signor conte, ci salvi lei: purché non riesca nell'impresa di tirare a campare al punto di tirare le cuoia. Anche l'andreottismo è un'arte: ne faccia buon uso.

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