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La produzione industriale del paese crolla a febbraio del 23,7% rispetto al mese dello stesso anno. Rispetto a gennaio del 2009 una riduzione del 3,5%, la variazione congiunturale della media degli ultimi tre mesi immediatamente precedenti è pari a – 9,3%. L’Istat ci fornisce pessime notizie. Se la produzione industriale perde in un anno il 23,7%, la travolgente impennata di richieste di Cassa Integrazione, lo stillicidio di licenziamenti, le perdite di lavoro che subiscono per prime le donne e i lavoratori immigrati ne sono la diretta conseguenza. Tutto appare meno che il governo Berlusconi sia in grado di affrontare la crisi economica e sociale, anzi tutti i provvedimenti presi , dai regali al sistema bancario, alla riduzione dei salari e degli stipendi (attraverso lo smantellamento del contratto di lavoro), alla volontà di non attivare strumenti pubblici per il rilancio del sistema economico, ci dicono in che guaio il nostro parese si è cacciato. E non si può fare affidamento nemmeno sull’opposizione parlamentare (Pd, Idv, UdC) che alle politiche di governo e Confindustria offrono una sponda emendativa e non certamente alternativa. Uno studio di KPMG ci illustra le capacità che autonomamente settori delle piccole e medie imprese dispiegano per rispondere alla crisi economica. Lo studio ci duice che è in corso un processo aggregativo delle imprese, con fusioni ed acquisizioni nel settore manifatturiero e dei servizi avanzati all’industria, per un valore stimato di 2,3 miliardi di euro. Finalmente sembra far breccia un anuova consapevolezza imprenditoriale, che parte dalla ricerca di nuove economie di scale produttive, tecnologiche e cognitive; i settori dinamici dell’imprenditoria lavorano sulla dimensione dell’impresa per sostenere innovazione e sviluppo. Esattamente seguendo lo stesso orientamento della recente legge regionale, approntata pochi mesi fa, sulle politiche industriali e il sostegno ai “poli industriali di eccellenza”. Una politica su cui Rifondazione comunista dell’Umbria ha molto insistito anche per dare un’alternativa all’egemonia che sul modello di sviluppo regionale esprimono le “tre C” (cavatori, cementieri, costruttori). Un ciclo del mattone che se “sfrutterà” adeguatamente la tragedia abruzzese trarrà dei benefici dalla ricostruzione post-terremoto. La speranza è che si ricostruisca con le giuste quantità di cemento e ferro, seguendo rigorosamente criteri antissismici, in sicurezza, utilizzando pienamente il “modello Umbria”. Se alla crisi produttiva occorre rispondere con nuove politiche industriali, alla crisi occupazionale da subito occorre anche una risposta politica e sociale. Così come indicato da Rifondazione comunista è urgente la costruzione sui territori di Casse di Resistenza per i lavoratori, di Gruppi di Acquisto Popolari contro il carovita, dai Comitati contro la crisi, per ribadire che “loro sono la causa, noi la soluzione”. Condividi