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Dal nostro inviato a L'Aquila Nicola Bossi Tutto è difficile e drammatico ad Onna. Persino entrare nel paese dalla zona delle montagne è quasi un'impresa. Il ponte che unisce Onna alle altre frazioni dell'Aquila è completamente inagibile: fili di nastro bianco e rosso lo fanno capire immediatamente. Ma alla fine, tutti quelli che passano di qua si fanno coraggio e sfidano la stabilità del ponte. Poi 50 metri di asfalto che il sisma ha modellato come fosse delle costruzioni Lego. La parte delle villette nuova di Onna è tutto sommato agibile: qualche camino e alcune parti di intonaco hanno ceduto alle scosse del terremoto. Per il resto la struttura moderna ha tenuto. Ma superati i 50 metri dalla parte nuova, arriva l'inferno: il centro storico di Onna è un groviglio di ferri, frammenti di foratini, coppi e una litania di oggetti ormai indefiniti. È qui dove il terremoto si è preso la rivincita sulla frazione di appena 350 anime. Ora dopo la scossa del 6 aprile di anime (in pena) ne sono rimaste soltanto 310. Quaranta, tra uomini, bambini e donne se li è portati via il mostro che da secoli fa tremare questa conca in mezzo a montagne innevate. Ma gli abitanti di questo tempio del martirio in nome della natura sono ancora in prima linea, dove nelle prime ore della mattina del 6 aprile quando a mani nude strapparono corpi alle macerie. È un popolo dignitoso che si aggrappa al lavoro e all'emergenza per cercare di allentare la morsa di dolore che si stringe. Don Cesare, 37 anni e un chiaro accento sudamericano, è il parroco dei paesi di Onna e Montecchi. Il primo distrutto, il secondo completamente graziato dal terremoto. "Ancora, il dolore per le molte perdite dei miei parrocchiani non è stato espresso nella loro interezza. Il lavoro, l'emergenza, la solidarietà li sta portando avanti nonostante il lutto". Don Cesare parla anche dello smarrimento di una comunità che non solo ha perso familiari ma ha visto anche crollare il simbolo del paese: la chiesa medievale. "In queste ore in molti mi hanno detto di essere dispiaciuti per la chiesa che non c'è più. Io gli ho risposto che oggi è più importante salvare la chiesa che sta dentro gli uomini. Fatto questo, ricostruiremo anche una chiesa fatta di mattoni per gli uomini". Condividi