svizzera.jpg
I suscettibili cittadini del Canton Ticino ce l'hanno a morte con il lavoratori stranieri ed in particolare con i frontalieri italiani: questo continuo via vai, osservano, ci porta via il lavoro e sono talmente convinti di ciò che sono i soli in tutta la Svizzera ad aver votato in massa il referendum sciovinista con il quale volevano scacciarli. Ma c'è un altro via vai che jnon li disturba affatto, anzi: si tratta del traffico di capitali italiani che assicura loro un buon 25% di un pil che in Italia molti invidiano. E sì, perché secondo gli ultimi calcoli delle nostre banche il totale dei capitali che i nostri patriottici speculatori, tutti fan sfegatati del premier Berlusconi, hanno portato all'estero ammonterebbero ad oltre 550 miliardi di euro, un fiume enorme di denaro pari a circa un terzo del debito pubblico nazionale. E 300 di questi 550 miliardi si troverebbero ben custoditi nelle banche elvetiche, principalmente in quelle del Canton Ticino che figura così com il principale "paradiso fiscale" a livello europeo, se non addirittura mondiale, per cui il generoso tenore di vita degli spocchiosi ticinesi si baserebbe essenzialmente su un continuo furto commesso ai nostri danni, tanto che non è esagerato affermare che siamo proprio noi poveri italiani ad assicurarglielo.. Il tema sta tornando di attualità ora che a livello di G20 pare si cominci a prendere coscienza di questa realtà e con essa i propositi di mettere fine a questa prassi scandalistica prevedendo misure di ritorsione nei confronti di questi "Paradini fiscali" per scovare i quali non dobbiamo poi spingerci troppo lontano. Non certo fino alle esotiche isole caraibiche che in questi anni ci sono stati indicati come luoghi maledetti per le nostre finanze nazionali: basta restare con i piedi ben piantati nella vecchia Europa e, addirittura, anche all'interno della stessa Ue. E sì, perché sempre secondo le stesse banche Italiane, altro suolo baciato dalla fortuna sarebbe il Lussemburgo, che un altro centinaio di questo non proprio modesto gruzzoletto di euro di provenienza nazionale, mentre una quarantina svernerebbero nel sole Mediterraneo di Montecarlo. Per cui, tirate le somme, quello che resta per altre destinazioni più esotiche si ridurrebbe a ben poco. Perciò, come ha giustamente osservato Tommaso Di Tanno, professore di diritto tributario a Siena e a lungo consulente del ministero delle finanze, "Le decisioni prese a Londra dai grandi del mondo sui fondi offshore sono allo stato pura propaganda", perché in sostanza i soldi accumulati in decenni di certosini guadagni in nero non sono messi a rischio dall'offensiva del G20 contro i paradisi fiscali. C'è una nuova lista di proscrizione dell'Ocse, con quattro nazioni (Uruguay, Costarica, Malesia e Filippine) censurate con il bollino nero per la loro allergia alla trasparenza bancaria. C'è un'area "grigia" di 31 paesi - tra cui i custo di di gran parte del tesoretto tricolore - disponibili a parole a migliorare lo scambio di informazioni, ma sanzioni vere e proprie non ce ne sono e la strada per tradurre la buona volontà di Berna & C. in fatti (accordi bilaterali e collaborazione fiscale) è tutta in salita. Condividi