continua da "Violenza in famiglia I parte"
Cosa succede quando ai maltrattamenti in famiglia è connessa una violenza sessuale?
La violenza sessuale è frequente su una donna maltrattata per anni, perchè la stessa a causa delle continue vessazioni si trova in uno stato di prostrazione tale da non riuscire più ad opporre resistenza fisica agli atti sessuali che le vengono imposti. Spesso dopo le percosse il partner pretende l’atto sessuale e la donna non rifiuta per paura di ulteriori violenze. In altri casi pur manifestando il suo rifiuto la donna è attanagliata dall’angoscia e non riesce a reagire. In queste situazioni non ci sono segni fisici che comprovino la violenza. Ciononostante il reato esiste e diventa perseguibile d’ufficio perchè connesso al reato di maltrattamenti.
Quali sono state le vostre proposte al Csm per migliorare l’azione giudiziaria?
Prima fra tutte quella di richiedere un intervento tempestivo ed efficace che miri non solo alla repressione del reato ma anche e soprattutto alla tutela della persona offesa che denunciando pone se stessa e i suoi figli sicuramente in una situazione di maggiore rischio. Ogni sforzo è vano se non si agisce nell’immediato. I tempi della giustizia sappiamo essere lunghissimi e per questi tipi di reati auspichiamo che sia istituita una corsia preferenziale sia per la trattazione delle indagini preliminari sia per il giudizio. Quanto alle indagini molto utile è stata la scelta di alcuni magistrati di ascoltare in tempi brevissimi la persona offesa, a sommarie informazioni. In questo modo il Pm può acquisire immediatamente elementi fondamentali per l’indagine e valutare la concretezza del pericolo. Decisiva sarebbe inoltre l’acquisizione della prova testimoniale della parte offesa con incidente probatorio, come attualmente è previsto dal decreto legge del febbraio 2009. Altro punto fondamentale è la maggiore applicazione della misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare del maltrattante. Questa misura cautelare introdotta dalla legge del 2001 è uno strumento essenziale per la protezione delle donne vittime di violenza in famiglia, ma ci risulta che sia stata applicata in tutto il territorio nazionale poche volte rispetto ai casi denunciati. Abbiamo constatato che il magistrato richiede molto più spesso la misura cautelare della custodia in carcere perché considera la donna sottoposta a serio rischio. Forse situazioni di non così alto rischio potrebbero essere tutelate anche con l’allontanamento del maltrattante dalla casa familiare evitando così alla donna di dover scappare, per paura di ritorsioni dopo la querela, da casa insieme ai figli. Di fatto la stragrande maggioranza delle donne che si risolve a denunciare il partner è costretta alla fuga. L’ospitalità viene chiesta ai familiari o alle nostre strutture che purtroppo non riescono ad accontentare tutte le richieste di ospitalità delle donne. Mancano i fondi per poter portare avanti una campagna antiviolenza che preveda innanzitutto
l’apertura di altri centri antiviolenza, gestiti da associazioni di donne non istituzionali, così come previsto da varie Raccomandazioni Europee. Mancano fondi per fare formazione agli organi istituzionali che vengono a contatto con le vittime di questi delitti gravi, a partire da scuole, ospedali, servizi sociali, forze dell’ordine e magistratura. I maltrattamenti in famiglia sono delitti gravi contro l’incolumità e la libertà della persona, violano il principio di ugliaglianza e di parità tra i soggetti, principi questi fondamentali della nostra Costituzione e nulla hanno a che vedere con conflitti familari o liti, come troppo spesso si tende a farli passare. Non è un caso che l’Onu ed il Parlamento Europeo li definiscono come tra le più gravi violazioni dei diritti umani .
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