di Fausto Gentili.

La truffa che si sta consumando sulla legge elettorale è così ben orchestrata che potrebbe essere oggetto di una tesi di laurea: in Scienze politiche, in Scienza della comunicazione o in Psicologia di massa. Dunque: dopo molto discutere a vuoto, in una bellissima sera di maggio tv giornali e blog ci informano che è stata raggiunta una miracolosa intesa sulla legge elettorale, e subito ce ne illustrano gli aspetti principali: un impianto quasi-proporzionale e una soglia di sbarramento al 5%. Aspetti destinati entrambi a sollevare qualche discussione, ma in fondo facilmente difendibili perché fondati su un ragionamento di buon senso: l'esito del referendum del 4 dicembre; la ragionevolezza di un approccio proporzionalista (se non conquisti la maggioranza degli elettori, devi almeno mettere d'accordo su un programma condiviso la maggioranza degli eletti); il correttivo di una soglia al 5%, che dà una specie di risarcimento ai sostenitori del maggioritario ed evita una frammentazione eccessiva (almeno sulla carta, perché in realtà la frammentazione non nasce dal sistema elettorale ma dal trasformismo). Come da copione, parte subito qualche polemica (Alfano contro il 5%, alcuni esponenti Pd contro il proporzionale) ma si tratta di incidenti messi nel conto e tutto sommato utili a fare confusione, allontanando lo sguardo dal centro del problema. Perché la sostanza dell'accordo – ma questo lo si capisce solo dopo che viene reso noto il famoso “emendamento Fiano”, cioè il testo della legge- sta in tutt'altro, e cioè nel fatto che, ancora una volta, crederemo di votare per chi ci pare ma poi avremo un parlamento di nominati, almeno per metà. Come con la legge Calderoli 2005 (il famigerato “porcellum” che abbiamo usato nel 2006, nel 2008 e nel 2013), come con la legge Renzi Boschi 2015 (la legge bocciata dalla Corte Costituzionale e quindi mai utilizzata). Insomma, si può discutere di tutto, si può cambiare tutto, saltare dal maggioritario al proporzionale, mettere o non mettere premi di maggioranza e soglie di sbarramento, ma c'è una cosa che non si può toccare: il popolo può al massimo decidere quanti deputati e senatori ti spettano, ma chi sono questi “rappresentanti del popolo” lo decidi tu. Il Capo.

Con la nuova legge la cosa funzionerà così:

1. l'elettore avrà a disposizione una scheda divisa in due metà: da una parte i candidati di collegio (ogni partito un candidato, presumibilmente persone note nel territorio dei 303 collegi), dall'altra una breve lista bloccata di candidati di lista. Potrà esprimere un solo voto, che va al candidato di collegio e contemporaneamente alla lista.

2. La sera dello spoglio si fanno i conti e i 606 seggi vengono ripartiti proporzionalmente tra i partiti: 15 % di voti, 15 % di eletti; 28% di voti, 28% di eletti; e così via. Se qualche lista è sotto il 5% non prende deputati, i suoi voti vengono tolti dal conteggio e i seggi redistibuiti tra le forze che hanno superato la soglia. Fin qui tutto chiaro (con un paradosso: può accadere infatti che più candidati arrivino primi nel loro collegio, magari con il 40% dei voti, ma non siano eletti perché il loro partito, come ad esempio la Lega negli anni scorsi, ha un forte radicamento in alcuni territori ma scarso consenso nazionale). Adesso però viene il bello. Infatti:

3. Si procede all'indicazione degli eletti, che vengono individuati così: prima il capolista della lista bloccata, poi (se c'è anche un secondo eletto) il candidato di collegio, poi eventualmente gli altri della lista bloccata. In tutte le circoscrizioni (e non saranno poche) in cui un partito elegge un solo rappresentante, questo sarà il capolista bloccato e non il candidato di questo e quel collegio. Anche se è arrivato primo. Così se nel mio collegio il candidato di collegio è papa Francesco e il primo della lista bloccata è Totò Riina io voto per papa Francesco ed eleggo Totò Riina. Poi forse, se i voti sono tanti, entrerà anche Francesco.

Ora, proviamo ad immaginare che cosa avremmo tutti pensato se il tg, in quella splendida serata di maggio, avesse illustrato così l'accordo trionfalmente raggiunto: “Accordo tra le forze politiche sulla legge elettorale: restano i capilista bloccati ed un Parlamento composto per metà da nominati. L'impianto sarà quasi-proporzionale con alcuni correttivi e una soglia di sbarramento al 5%”.

Tra tutti i più truffati appaiono, come ormai gli capita spesso, gli attivisti certificati del Movimento 5 Stelle: sono stati chiamati, in 29mila, a pronunciarsi sui titoli dei telegiornali ed hanno detto, un po' come tutti, che la cosa poteva andare; poi hanno letto il testo della legge e hanno provato a fare marcia indietro; a quel punto è intervenuto il Capo (chissà che cosa dirà, in privato, di quelli che gli vanno dietro) e gli ha spiegato che si erano già pronunciati e quindi non c'era niente da discutere, l'importante è votare subito (prima, immagino, che i disastri della giunta Raggi compromettano troppo il Movimento).

Al di là di tutto, però, c'è una questione seria e riguarda l'emergere, non solo in Italia, di una “democrazia del Capo”: il richiamo dei sistemi presidenziali, anche quando portano all'elezione di miliardari analfabeti che solo un robusto sistema di bilanciamento dei poteri riesce, speriamo, ad arginare; il fascino del “cancellierato forte” e delle sue imitazioni; la riduzione dei Parlamenti a consigli di amministrazione dove quattro o cinque Capi detengono il controllo di pacchetti azionari e la funzione storica dei parlamentari (parlare, parlarsi, fare un uso pubblico della ragione, esercitare la libertà di coscienza, decidere insieme sulla base delle conoscenze raccolte e dell'ascolto reciproco) è vissuta come un intralcio alle decisioni. Tutto ciò in un mondo in cui i confini tra potere politico e potere economico si fanno sempre più fragili, e più evidente l'asservimento della politica: non all'economia, ma al potere economico (grandi imprese che finanziano partiti, primarie e campagne elettorali; ruolo delle lobbies, ormai teorizzato, nelle decisioni di pubblico interesse; project financing; carriere post-politiche di ex primi ministri all'interno di grandi imprese o nei dintorni). Anche a voler ragionare in termini di corruzione, il che certamente è riduttivo ma ha comunque un suo senso, varrebbe la pena di chiedersi se è più facile comprare qualche capo o, uno per uno, trecentosedici deputati e centocinquantaquattro senatori liberamente eletti e responsabili di tronte ai cittadini.

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