Armi di distruzione di massa o antrace: un film che abbiamo già visto
E’ una costante che si ripete in modo sconcertante, ma c’è ancora chi è disposto a cadere in questo tranello. Ingenuità o ipocrisia?
Ciò che sta accadendo in questi giorni in Siria ci ha richiamato alla mente quello che era successo in precedenza in altre aree strategiche del mondo e, soprattutto, la sorte toccata all’Iraq allorquando gli Stati Uniti decisero che Saddam Hussein nascondesse agli occhi del mondo un pericoloso arsenale di “armi di distruzione di massa” che non furono mai trovate. Fu questo il pretesto per scatenare l’assalto ad un regime considerato nemico dalla prima potenza mondiale che, non nascondiamocelo, voleva soprattutto controllare le immense risorse petrolifere che si nascondevano nel sottosuolo di quello sfortunato Paese.
Certo il dittatore iracheno non era uno stinco di santo. Governava il suo Paese con il pugno di ferro e non si poteva certo definire un campione di democrazia. Ma che dire, allora, di Paesi quali l’Arabia Saudita, solo per restare in quell’area geografica, nei confronti dei quali i vari inquilini della Casa Bianca, non si sono mai palesati altrettanto schizzinosi?
La ricerca e la distruzione di quelle armi di distruzione di massa fu, dunque, il pretesto per scatenare una guerra che non è ancora finita. Fu quello l’escamotage che consenti di destabilizzare un altro pezzo del già infuocato mondo mediorientale, avviando una faida, alimentata da odi e vendette religiose, che se non altro Saddam Hussein era riuscita sino ad allora a soffocare.
Gli Usa, insomma, con l'aquiescenza criminale di altri Paesi dell’Occidente “democratico”, in primis la Gran Bretagna di Blair, seguita a ruota da Germania, Francia e, purtroppo anche Italia, avevano assolto, senza che l’imparziale Onu battesse ciglia, al ruolo di gendarmi del mondo che si erano autonomamente attribuito sin da quando, stando solo ai tempi più recenti, scatenarono in Afghanistan, armandolo generosamente, il fanatismo religioso dei Talebani contro un governo che era stato eletto democraticamente da quel popolo e che si è poi ritorto anche nei loro confronti.
Pressoché identica la strategia seguita per sbarazzarsi poi del libico Gheddafi, e quella che si sta ripetendo ora in Siria, dove si è riaffacciato il pretesto delle armi di distruzione di massa che questa volta sono state veramente usate da qualcuno.
Il fatto è, però, che chi sia questo qualcuno è ancora tutto da stabilire. Trump non ha dubbi: per lui, che prima di diventare presidente sosteneva tutt’altra tesi, il colpevole del misfatto è il dispotico Assad ed è stato quindi giusto bombardarlo.
Il crimine commesso nei confronti della popolazione che è stata fatta oggetto di un criminale attacco chimico è estremamente odioso e orrenda, in particolare, lo sterminio di tanti bambini, ma, quanto a chi sia il vero responsabile di tutto ciò, logica vorrebbe che si rispondesse in primo luogo alla classica domanda del “Qui prodest?”
Già, chi ne ha tratto vantaggio? Per Trump, con ancora una volta in coda Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia, non ha dubbi: la mano criminale è quella del dittatore siriano, ma prove certe ciò non ci sono assolutamente. Non c’è, infatti, un osservatore imparziale in zona che se la senta di avallare questa tesi e questo anche perché Assad, che era sul punto di vincere la sua guerra contro il Califfato, non aveva nessun interesse attirare su di sé l’odio del mondo, mentre sul terreno bellico dal conseguente attacco Usa sono stati proprio i jhadisti a trarre vantaggio.
E chi sostiene il contrario non è uno stolto, piuttosto gli fa comodo che passi questa tesi.
E.P.

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