E’ di te, Orvieto, che si parla in questo scritto
Si racconta, da secoli e secoli, di una gazza ladra che profittava del sudore altrui per procurarsi, surrettiziamente, il necessario alla sua esistenza. Ma lo scoiattolo se ne avvide e corse ai ripari, ripagandola con una moneta così punitiva da lasciarla stecchita al suolo. Anche tra gli esseri umani, spesso, si assiste a fenomeni del genere, oscillanti tra il filisteismo farisaico e il perfido cinismo. La politica poi, o meglio l’avventurierismo politicante, ne sono pieni fino all’orlo della gola.
E’ profondamente immorale il comportamento di chi intende banchettare, senza colpo ferire, sfruttando le sgobbate e le fatiche non sue, ma la morale sottesa alla fiaba dello scoiattolo e della gazza ladra dovrà a lui suonare come monito e severo avvertimento.
Vi sono, però e per retta sorte, anche coloro che intendono prendersi cura dell’altro, singolo o in società, a prescindere da calcoli utilitaristici o da tornaconti personali. E’ di costoro che intendo scrivere.
Esiste, infatti, ed è rimarchevole la circostanza che, in un momento storico dominato da un ritornante riflusso nel privato, amiche ed amici a me cari si diano ancora udienza per dedicarsi agli affari generali della collettività e non solo al tempo del divertimento e dello svago.
Sono istanti, poiché di istanti si tratta, di pregevole ritorno al nobile esercizio della politica, quella vera e seria e che si sostanzia nel confronto delle idee, nell’analisi dei problemi comuni e nella democratica discussione di quali siano le vie migliori da percorrere per portarli a positive e concrete soluzioni.
In tali attimi non mancano di certo diffusi riferimenti ai tre nodi cruciali che da tempo affliggono l’acropoli orvietana e che, se non sciolti, tenderanno a frenare ulteriormente la sua già inceppata crescita e il suo già grippato sviluppo: la viabilità veicolare interna perché i varchi elettronici, così come sono stati congegnati, non funzionano e richiedono un profondo riesame alla ricerca di un più intelligente equilibrio tra le esigenze dei residenti e quelle degli operatori economici che, caparbiamente, intendono continuare a realizzare impresa nel centro cittadino; la riconversione a fini civili e produttivi della Piave, di cui ho dissertato in altra sede, ed anche dell’ex Ospedale di piazza Duomo perché troppo tempo è passato invano ed è ora che si ponga mano, finalmente, ad un progetto di rifunzionalizzazione credibile, coinvolgente e tempestivamente attuabile; la riqualificazione artistica, architettonica e urbana del quartiere Medievale perché quel quartiere è stato per secoli il cuore pulsante della nostra città e lo dovrà essere anche per l’oggi e il domani con la sottintesa necessità che, ad esso, saranno da rivolgere le attenzioni e l’impegno di cervelli pensanti di alto profilo e indiscusse capacità.
Anche codesti colpevoli omessi interventi, assieme a cause di natura partitocratica, hanno contribuito e contribuiscono tutt’oggi alla crisi di governo cittadino che, ad ampie falcate, si sta profilando su un orizzonte già cupo e fosco di per se stesso.
Il popolo, lo si sa, è stanco di sole vacue parole e dimostra, a più riprese, indifferenza e scetticismo allorché non riesce ad intravedere esempi di effettuali comportamenti, adeguati e coerenti rispetto alle mere espressioni verbali. E’ pur vero, però, che non partecipa o partecipa punto alle scelte che lo riguardano, in parte per sua pigrizia, e in larga misura per disaffezione e sfiducia verso coloro che tengono in mano il timone del vapore. E’ necessario, allora, ribaltare i poli dell’azione politica, riconsegnando alla base popolare gli strumenti per intervenire e far sentire la sua voce.
Il significato di cui in premessa risiede proprio in codesta riacquisita volontà di partecipazione che, poi, altro non è se non il sale della democrazia: di genuine intellettualità necessitiamo e ad esse rivolgiamo il nostro sguardo e la nostra supplica.
Un tal Descartes, in arte Cartesio, pensò che pensando ne conseguissero inevitabilmente le condizioni dell’essere nella visione tridimensionale del tempo, dello spazio e della profondità concettuale, eppercui ogni uomo esiste a prescindere dal fatto che ciò gli venga o meno riconosciuto dai suoi consimili; un tal’altro, di nome Aristotele, ha lasciato scritto che per esistere non è necessario filosofare ma, per capire fino in fondo che per esistere non è necessario filosofare, bisogna filosofare.
Allora, le conseguenze sono ovvie: gli intenti di garantire a tutti esistenza, nella specie politica, non sono il frutto di una concessione sovrana in quanto, il diritto e la possibilità di esistere, sono insiti nella corteccia cerebrale di ogni intelligenza umana; rimane, dunque, la manifestazione d’intenti intesa come promessa impegnativa, ed ogni promessa è un debito che, una volta assunto, va sempre onorato.
Mario Tiberi

Recent comments
12 years 12 weeks ago
12 years 12 weeks ago
12 years 12 weeks ago
12 years 12 weeks ago
12 years 12 weeks ago
12 years 12 weeks ago
12 years 12 weeks ago
12 years 12 weeks ago
12 years 12 weeks ago
12 years 12 weeks ago