Le vacanze nell'antichità.
di Maria Pellegrini
Nel I secolo a.C. Roma già contava oltre un milione di abitanti. Il sovraffollamento e il traffico, causavano disagi e stress ai suoi abitanti. Coloro che appartenevano alle classi economicamente privilegiate, per brevi periodi dell’anno, andavano presso località più tranquille. Si può affermare che gli antichi Romani siano stati i primi a concepire il desiderio della vacanza in senso moderno: fuggire dalla città, sottrarsi alle regole dei doveri quotidiani, amare il tempo libero. Filosofi e letterati sfruttarono questo tempo di “otium”, un ozio operoso, per stare a contatto con la natura, per la riflessione, il raccoglimento interiore, la ricerca di se stessi, lo studio, ma per i più, la vacanza era tempo concesso alla gioia, al divertimento, alla fantasia. I più ricchi costruirono ville adagiate nel verde delle colline o su scogliere a picco sul mare, o sulla riva di golfi racchiusi da colline lussureggianti di vegetazione, ma altri nella tranquillità della campagna per un benefico ritorno alla vita semplice e sana. Molte ville di campagna erano però ville suburbane, facilmente raggiungibili da Roma (o da un'altra città) o ville rustiche, che avevano funzioni di fattoria, occupata in modo permanente dai servi, i quali generalmente si occupavano della proprietà, che ruotava attorno alla villa, che poteva essere abitata stagionalmente.
Alcuni luoghi più apprezzati per la loro bellezza erano la costa napoletana, amalfitana e sorrentina: i Campi Flegrei, Pozzuoli, Baia, capo Miseno, Stabia, l’isola di Capri. Ma anche sulla costa tirrenica vi erano lussuose ville, ad Anzio, per esempio, Cicerone ne aveva costruita una per sistemarvi la sua preziosa biblioteca. Da Svetonio apprendiamo che proprio ad Anzio, nel 2 a.C., soggiornava Ottaviano Augusto quando una delegazione del popolo romano lo raggiunse per offrirgli il titolo di Padre della Patria. La villa facendo parte del patrimonio privato dell’imperatore, passò nelle mani dei successori. Nerone l’ampliò e poi volle costruirne nei pressi una nuova. Recenti scavi archeologici hanno mostrato che anche nell’isola d’Elba vi erano ville sontuose, in una di queste soggiornò Ovidio prima di essere inviato in esilio da Augusto.
Non vi erano tempi stabiliti per le vacanze, che erano scanditi dal desiderio personale di svago, riposo o riflessione anche se dalle fonti sappiamo che i luoghi marini erano più affollati d’estate e quelli in campagna frequentati in tutti i tempi dell’anno e servivano a chi viveva in città anche per riscoprire la natura e le stagioni con i loro colori e profumi. Passando dal tempo della Repubblica a quello dell’Impero, sempre più numerose e opulente furono le ville costruite per trovare una pausa dalle fatiche quotidiane, ma anche per divertimento sfrenato, soprattutto da parte della gioventù aristocratica.
Come se provenissero da cronisti dell’antichità, riportiamo stralci di frasi o versi scritti da autori latini a proposito dei loro spostamenti per raggiungere luoghi di villeggiatura, per descrivere le loro ville o cantare la bellezza dei i luoghi preferiti.
In una lettera all’amico Attico così scrive Cicerone (106 a.C-43 d.C.):
“Ho in progetto di raggiungere la mia villa di Formia il giorno delle feste Palilie (12 aprile). Quindi, poiché sei del parere che, coi tempi che corrono, io debba fare a meno del delizioso soggiorno sul golfo, partirò poi dalla villa di Formia il primo maggio, in modo da essere il giorno 3 ad Anzio. Si daranno, infatti ad Anzio, giochi dal 4 al 6 maggio, e Tullia desidera assistervi. Di là ho intenzione di spostarmi nella mia villa di Tuscolo, poi ad Arpino e di essere a Roma per il primo giugno. Fa’ in modo che io ti possa vedere o nella villa di Formia o ad Anzio o nella villa di Tuscolo”. (“Ad Attico”, 2, 8, 2)
Cicerone ricorda come personaggi famosi appartenenti alla nobile famiglia degli Scipioni sapessero diventare fanciulli spensierati in tempi di vacanza:
“Spesso ho sentito dire da mio suocero che Lelio era solito villeggiare quasi sempre insieme a Scipione (l’Emiliano) e che essi, incredibilmente, ritornavano bambini quando fuggivano da Roma, come avessero spezzato delle catene. Io di tali uomini non oserei parlare così, ma Scevola suole raccontare che essi spesso raccoglievano conchiglie e lumache di mare nei pressi di Gaeta e di Laurento e che si dedicavano ad ogni svago e divertimento”. ( “De oratore”, II 22)
Orazio (65-8 a.C.) mostra di amare di più la campagna, come testimoniano questi versi:
“O campagna, quando ti rivedrò? e quando mi sarà / dato di passare la vita affannosa in un piacevole oblio,/ ora tra i libri degli avi, ora nel sonno e nell’ozio? […] O notti e cene degne di dei quando io con gli amici / mangio davanti a un Lare che è mio e nutro schiavetti / insolenti con vivande avanzate. A piacer suo, ogni ospite, / sciolto da norme assurde, vuota calici di varia grandezza, /sia che da forte bevitore tolleri i vini robusti,/ sia che preferisca bagnare la gola con vinelli leggeri”. (“Satire”, II, 6)
Ancora Orazio che deve scegliere un luogo per le cure dei suoi mali:
“Dimmi, o Vala, quale sia l’inverno a Velia, quale il clima di Salerno, quale il carattere degli abitanti di quelle parti e quale l’itinerario, giacché il mio medico Antonio Musa ritiene per me inefficaci le acque di Baia, e ciò mi espone al rancore dei Baiani, perché faccio le bagnature gelate in pieno inverno. Ha ragione Baia di dolersi, che restino abbandonati i suoi mirteti e che siano trascurate le sue acque sulfuree, famose per guarire le forme croniche delle artriti; e guarda perciò di malocchio gli ammalati che ardiscono sottoporre il capo e il ventre alle sorgenti di Chiusi, o si dirigono a Gabii e ai luoghi di montagna. Io devo tuttavia mutar la sede della cura.” ( “Epistole”, I, 15)
Plinio il giovane (61-113 d.C.) autore di molte lettere inviate a vari amici e noti personaggi politici, raccolte in un ricco Epistolario, racconta a un amico come trascorre il suo tempo lontano da Roma:
“Mi chiedi con quali criteri io ordini la giornata d'estate nella mia villa di Toscana. Mi sveglio quando mi torna comodo, generalmente verso la prima ora di sole, spesso prima, raramente più tardi. Le finestre rimangono chiuse; infatti il silenzio e il buio hanno un’efficacia straordinaria per sottrarmi alle distrazioni ed allora io, libero e tutto per me […] elaboro i miei pensieri sul tema che sto eventualmente trattando. […] Tra le nove e mezza e le undici me ne vado sulla terrazza o nella galleria vetrata […] e continuo il filo delle riflessioni. Poi salgo in carrozza […] Me ne ritorno per un breve pisolino, poi faccio una passeggiata e successivamente leggo con voce incisiva ed energica un’orazione greca o latina. Nuova passeggiata, frizioni con unguenti, ginnastica, bagno. Durante la cena, se sono presenti solo mia moglie o pochi amici, si legge un libro; dopo cena ascoltiamo la declamazione di qualche scena comica o le esecuzioni di qualche suonatore di lira. Poi passeggio con i miei dipendenti, alcuni dei quali sono forniti di una buona cultura. Così, chiacchierando sui più diversi argomenti si tira in lungo la sera e, quantunque la giornata sia molto lunga, giunge rapidamente al termine. (“Lettere”, IX 36)
Sempre Plinio il Giovane a testimonianza della bellezza del mare nella sua villa sul litorale romano così esclamava:
“O mare, oh, lido, o vero e unico tempio delle Muse!” (“Lettere”, II,17)
A un altro amico descrive l'ambiente circostante un’altra villa, la sua preferita, che possedeva nella Valle Tiberina:
“L’aspetto del paese è bellissimo: immagina un immenso anfiteatro quale soltanto la natura può crearlo. [...] Benché vi sia abbondanza di acqua non vi sono paludi perché la terra in pendio e non assorbito [...]; il terreno si innalza così dolcemente e con una pendenza quasi insensibile, che, mentre ti sembra di non essere salito sei già in cima. Alle spalle hai l’Appennino [...]. Conosci ora la ragione perché io preferisca la mia villa in Tuscis a quella di Tuscolo, Tivoli e Preneste. (“Lettere”, V, 6)
Formia e Terracina sono cantate da Marziale (40-140 d.C.circa) :
“Formia dal dolce clima, lido delizioso, tra tutti i luoghi / tu sei il preferito dal mio amico Apollinare, quando fugge la città del severo Marte e si libera,/ stanco, dai suoi gravosi pensieri. […] Qui la superficie del mare s’increspa sotto la leggera brezza;/ le acque non ristagnano, ma il lieve movimento del mare / trasporta le barche dipinte con la spinta del vento,/ che somiglia a quella sana frescura che una fanciulla nemica del caldo /estivo produce agitando la purpurea veste. (“Epigrammi”, X, 30
“O Terracina, splendida per le sue acque trasparenti/ o giornate di sole, di riposo, o boschi,/ o fonti, o spiaggia di umida sabbia.” (“Epigrammi”, X, 51)
Molte sono testimonianze sulla città di Baia. La sua fama fu propagandata e amplificata da diversi poeti per magnificarne la bellezza del cielo azzurro, del mare trasparente:
“Nessun golfo del mondo risplende più dell’amena Baia”(Orazio, “Epistole”, I, 2)
“Baia coronata di spiagge, le cui acque dai densi vapori scaturiscono da bollenti sorgenti sulfuree […] è luogo ideale per i cacciatori di donne, che vanno per curare il corpo con le terme, ma qualcuno, riportando da qui a casa una ferita nel cuore, dirà che questa non è acqua che dona salute, come la gente dice”.(Ovidio, “Ars Amatoria” v. 255 sgg.)
“Baia, spiaggia dorata della beata Venere / Baia, dolce dono della splendida natura/ Baia, o Flacco, anche se la lodassi con mille versi / non la loderei mai in modo degno di lei”. (Marziale, “Epigrammi”, XI 80)
Poeti e intellettuali che vi soggiornarono mostrarono interesse per i benefici effetti del clima e delle acque termali ma anche la condannarono come luogo di dannazione, infatti si diffuse la fama di divertimenti lussuriosi, di perversione, di scandali amorosi, frequenti nella città.
Per Cicerone, Baia è sinonimo di disordine morale e di dissolutezza. In un’orazione in difesa di Marco Celio contro Clodia (la famosa Lesbia di Catullo, che i contemporanei ricordarono soprattutto per la sua vita scandalosamente priva di inibizioni, non facendo mistero dei suoi numerosi amanti) rappresentò in modo infamante la donna che aveva accusato di furto di gioielli Celio suo ex amante:
“conduce apertamente una vita da prostituta, partecipando ai banchetti con uomini a lei del tutto estrani, apre la sua casa ai desideri di tutti e tra la folla di Baia si mette in vista con libertà di discorsi, abbracci, baci, bagni, gite in barca, banchetti, in modo sfacciato e provocante”.(“Pro Caelio”, XV, 35)
Seneca consigliando al giovane Lucilio i luoghi di soggiorno più adatti al saggio scrive:
“Baia, pur avendo l’attrattiva delle sue bellezze naturali, è una città da evitarsi, poiché è ormai un noto centro di corruzione […] un ritrovo di vizi. Là tutto si concede all’immoralità che si sfrena più che altrove, come se il luogo stesso richiedesse ogni specie di scostumatezze. Il saggio deve scegliere un luogo salutare non solo per il corpo, ma anche per la moralità […] E’ proprio necessario vedere uomini ubriachi che vagano lungo la spiaggia, o che gozzovigliano sulle navi; sentire lo strepito di canti e musica, ed assistere a tutte le altre follie che non solo violano ogni legge morale, ma provocano anche scandalo? Il saggio ha il dovere di fuggire quanto più è possibile tutto ciò che costituisce un incitamento al vizio”.
Il filosofo finiva anche per criticare la frequentazione delle terme:
“A che mi servono le acque termali o i bagni sudoriferi in cui si sviluppa il vapore ardente che dovrà spossare il corpo? Il sudore sia provocato solo dalla fatica”. Lodava Catone, Mario, Cesare e Pompeo che costruirono le loro ville nei dintorni di Baia non sulla riva del mare ma sulle vette dei monti per non essere costretti a vedere “le barche degli amanti che sfilavano sulla riva davanti ai loro occhi e le numerose imbarcazioni dipinte a vari colori e le rose galleggianti sull’acqua, o sentire di notte volgari canzonette”. (“Lettere a Lucilio”, 51)
Il poeta Properzio, geloso per la permanenza dell’amata Cinzia andata là in vacanza, le scrive in un’elegia :
“Abbandona prima possibile la corrotta Baia; / codesti lidi produrranno la separazione di molti; / sono lidi da sempre ostili alle caste fanciulle. / Vadano in malora le spiagge di Baia, vergogna di Amore.” E ancora deprecando le colpe di Baia, lusso e corruzione, si domanda “o invisa Baia, con le tue grandi colpe, qual Dio nemico si è fermato sulle tue acque?”
Povero Properzio: avrebbe preferito sapere la sua dolce metà “tra le sperdute montagne, in compagnia di innocui greggi, /piuttosto che circondata dalle tentazioni di una città dedita al vizio! (“Elegie”, I, 11)
I giudizi su questa fiorente cittadina oscillano dunque tra bellezza del luogo, benefiche acque termali e scandalosa vita di chi fosse va lì in vacanza Ne riportiamo a conclusione due:
Plinio il Vecchio nella “Naturalis Historia” afferma che “in nessun luogo della terra vi è maggior copia e varietà di acque quanto nel golfo baiano; è dovuta al favore delle divinità l’efficacia curativa di queste acque abbondanti e miracolose che sgorgano in abbondanza facendo sperare rimedi contro le infermità e scaturendo soltanto a beneficio degli uomini”.
Il satirico Marziale è il più caustico di tutti nel denunciarne la cattiva influenza sulle villeggianti:
“La casta Levina, che non era inferiore alle antiche Sabine, /ed era più rigida del suo già rigidissimo marito, / mentre sostava ora al lago Lucrino ora al lago Averno/ mentre spesso si ristorava presso le acque di Baia, / è caduta nel fuoco d’amore: lasciato il marito/ ha seguito / un ragazzo. Era venuta Penelope e se ne è andata Elena. (“Epigrammi”, I 62)
Nota: Immagine di www.arte21.it

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