di Maria Pellegrini

Sul “Corriere della Sera” di qualche giorno fa è stato pubblicato un articolo con questo titolo: “In Inghilterra è boom dei corsi estivi di latino”.

In sintesi il giornalista fa notare che mentre per molti liceali italiani il latino rappresenta un obbligo fastidioso, in Gran Bretagna, dove il latino non fa parte delle materie di studio, la lingua di Cicerone sta diventando una moda. I corsi proposti come forma di educazione complementare, negli ultimi mesi hanno raccolto consensi e iscrizioni più di quanto non fosse accaduto in passato. Infatti le persone più sensibili sembrano aver capito quanto il latino sia basilare per aiutare nell’apprendimento delle altre lingue, ma anche della grammatica in generale, dell’analisi logica e persino della logica da applicare poi in campo scientifico. E poi c’è la passione per la storia di Roma, che lasciò tracce in Inghilterra e che va studiata.

In Italia, culla della romanità, avvertiamo che lo studio della lingua latina è inaridito dalla nefasta teoria secondo la quale la cultura non immediatamente utile sia null’altro che un esercizio intellettuale di eruditi. Eppure chi non ha sentito o pronunciato modi di dire in lingua latina quali: gratis et amore dei, curriculum vitae, qualis pater talis filius, Roma caput mundi, Deo gratias, ex aequo, casus belli, Cicero pro domo sua, errata corrige? Con insolita frequenza molte espressioni latine ricorrono nel nostro linguaggio quotidiano involontariamente. Accanto a termini inglesi molto diffusi, altrettanti termini latini o modi di dire fanno ormai parte della nostra lingua: exit, media, prosit, lupus in fabula, mare magnum, carpe diem, mens sana in corpore sano, omnia mea mecum porto, nunc est bibendum, medice cura te ipsum, errare humanum est perseverare diabolicum, sic stantibus rebus. Potremmo continuare a lungo perché sconfinato è il numero dei latinismi che attestano la vitalità della lingua latina.

Ci sono poi frasi di cui sappiamo l’autore, sentenze sapienti che come piccole opere d’arte vincono la distanza temporale per la loro potenzialità comunicativa. Sono testimonianza di un mondo considerato da molti scomparso piuttosto che specchio in cui possiamo ritrovare noi stessi e rimanerne colpiti e affascinati dalla loro modernità, semplicità, sinteticità, ironia, sapienza filosofica.

Lette a piccole dosi come pillole quotidiane di saggezza, le sentenze latine e i tanti latinismi che ricorrono nel parlare quotidiano sono un messaggio che arriva da anni lontani attraverso le parole di uno scrittore o di un poeta donandoci un sorriso, destando curiosità, meraviglia, ed essere prontuario e guida per il nostro presente, e scoperta della ricca visione del mondo della cultura latina, della sua linfa inesauribile e del bagaglio sapienziale che supera il vincolo dei secoli.

Con l’imbarazzo della scelta, esaminiamone alcune, sacrificandone molte altre, e citandone la fonte: per gli ambiziosi è appropriata la frase di Cesare: Malo hic esse primus quam Romae esse secundus “Preferisco essere primo qui che secondo a Roma” (Plutarco, Cesare); gli indifferenti tengano presente quanto suggerisce Seneca: Iniquum est conlapsis manum non porrigere “È iniquo non stendere la mano a chi è caduto” (Seneca Controversiae); adatta agli opportunisti la frase pronunciata da Trimalcione, l’arricchito del Satyricon di Petronio: manus manum lavat “una mano lava l’altra”, chiara allusione a una generosità interessata che preveda scambio di favori; dal Vangelo arriva questa confortante promessa: Beati qui esuriunt et sitiunt iustitiam: quoniam ipsi saturabuntur “Beati coloro che sono affamati e assetati di giustizia, perché saranno saziati” (Matteo); gli amministratori di giustizia dovrebbero far tesoro di due sentenze: In iudicandum criminosa est celeritas “Giudicare un cittadino con rapidità è cosa criminosa” (Siro, Sentenze) e Summum ius, summa iniuria “Il diritto estremo diventa talora un torto estremo” (Cicerone, I doveri); Mendacem memorem esse oportet. “È necessario che il bugiardo abbia buona memoria.” Forse la fonte è Quintiliano, ma il detto si ritrova anche in altri contesti, e giunge sino ai nostri giorni con significato ironico, cioè: chi mente deve ricordare la propria bugia; tua res agitur, paries cum proximus ardet. “Si tratta anche di te, quando la casa del tuo vicino brucia”. La fonte è Orazio, ma il concetto potrebbe essere avvicinato ai versi di John Donne (citati in esergo del suo romanzo Per chi suona la campana da Hemingway); Frangar, non flectar. “Mi spezzerò, ma non mi piegherò.” È un motto dal Tieste, tragedia di Seneca, ma divenuto proverbiale d’un carattere irriducibile, sconsigliabile a tutti noi oggi, in clima di “flessibilità”.

Mai come oggi, età degli eccessi, torna utile la massima oraziana: est modus in rebus “c’è una misura nelle cose” e la raccomandazione di conservare l’equilibrio: in medio stat virtus “la virtù sta nel mezzo”; ai governanti calza a pennello un consiglio espresso dall’imperatore Tiberio: Boni pastoris esse tondere pecus non deglubere “Il buon pastore deve tosare le pecore non scorticarle” (Svetonio, Tiberio).

Nel linguaggio dell’economia troviamo il deficit (dal verbo deficere, divenuto sostantivo maschile.), e l’una tantum, detto di un contributo richiesto “una volta soltanto”. Nel lessico scientifico il latino abbonda: limitiamoci a magnitudo “grandezza” con cui si descrive l’intensità di un terremoto, e a habitat, (da habitare) diventato sostantivo maschile, per indicare l’ambiente adatto a ciascuna specie vivente.

Da tutti questi esempi possiamo scoprire che la lingua dei nostri antenati trascende i tempi e i luoghi e manifesta la sua eternità rivelandoci quanto viva in mezzo a noi.

La nostra tradizione occidentale ha le sue radici nella cultura romana e in quella cristiana. Il ragionamento, la filosofia, il gusto della bellezza, sono in gran parte eredità lasciata dai greci ai romani che l’hanno assorbita; il diritto, il senso dell’unità dello Stato provengono dai romani. Quindi, studiare la civiltà, la letteratura e la lingua latina significa conoscere le proprie radici, permette di cogliere ciò che accomuna l’uomo di oggi all’uomo antico e, nel contempo, introduce alla comprensione del cambiamento avvenuto nei secoli.

La lettura delle grandi opere della letteratura latina, di Virgilio, Lucrezio, Orazio, Seneca, Cicerone (per citare solo qualche nome illustre) permette di incontrare i “grandi del passato”, di confrontarci con loro, di scoprire il loro pensiero, i loro vertici artistici.

Spesso si è dibattuto intorno a quale funzione la cultura greca e romana possa avere oggi in una società altamente tecnologizzata, assolutamente diversa da quella in cui quel modello culturale è stato concepito e ha funzionato. Nonostante il mondo dei greci e dei romani appaia a molti uomini d’oggi come un puro relitto del tempo che fu, e pertanto di nessun significato, privo di valore commerciale in un universo che valuta le realtà in relazione alla loro capacità di influenzare le borse e di pesare sulle scelte dei mercati, si può rispondere come il grande matematico G. Israel, “essere felici per il declino degli studi classici significa gioire mentre è segato il ramo su cui siamo seduti”.

Nota: Immagine di www.arte21.it

 

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