«Non credo che una Nazionale di calcio possa rappresentare l’eventuale cambiamento radicale di una società, soprattutto se tale cambiamento, almeno nel mondo occidentale, non è alle porte».

È la risposta secca e realista che mi dà Paolo Sollier, già all’inizio della nostra chiacchierata intorno a Euro 2016. Stavamo ragionando sui 30 anni passati dall’Inghilterra-Argentina della mano de dios e dell’eco della questione Falkland nello spogliatoio albiceleste, quando gli ho chiesto quanto profonda sia oggi la distanza tra la Francia dei lavoratori e del movimento Nuit Debout e la Francia di Griezmann e di Payet. Tre decadi fa Maradona e compagni si facevano portatori in campo degli umori della Nazione, oggi invece per Pogba e gli altri il procedimento non è altrettanto spontaneo, così come non vediamo Rooney o Vardy prendere posizione sulla Brexit. 

«La distanza tra i professionisti del calcio e la gran parte degli appassionati è diventata stellare e i due mondi sembrano non toccarsi più, se non nella congiunzione astrale del tifo, comunque implacabile. Dunque non credo che una nazionale arrivi, con queste premesse, a rappresentare l’eventuale cambiamento di una società. Mi sembra invece funzionino piccoli e marginali esempi, come la vittoria del Leicester in Inghilterra, metafora fulminante della sconfitta del denaro, quando incontra progetti che ne scardinano la logica: meno soldi, più valore della passione competente, indispensabile a catturare la buona sorte. Purtroppo, questi restano sempre casi isolati, che il sistema liberista pallonaro riassorbe con facilità».

Eppure c’è una sorta di ascendente che va oltre la sfera ideologica e che viene riconosciuto al calcio, oggi ancora più che alla decadente dimensione partitico/politica, possibile che nessuno voglia spingersi fino ad avvalersene “dall’interno”? Tanto più che sono molti, moltissimi i messaggi da far passare, dalle questioni strettamente politiche quali le riforme del lavoro, a temi di vario genere, dall’omosessualità alla contrapposizione tra spinta all’integrazione e razzismo. Un primo, storico tentativo lo ha fatto Radja Nainggolan in occasione del dibattito sulle unioni civili, ma in generale cosa dovrebbe fare un giocatore per prendere consapevolezza del proprio essere soggetto politico, oltre che sportivo? Cosa dovrebbe fare un atleta per essere un Sollier o un Socrates nel 2016?

«Ogni volta che vengo accostato a figure come Socrates sono ovviamente onorato, ma anche imbarazzato, per due motivi: il primo è che lui era un vero campione in campo ed io un semplice comprimario; il secondo è la grande diversità, nell’ esprimere le proprie idee, frutto di convinzioni ed esperienze, vivendo in uno stato democratico, come da noi, oppure giocando nel Brasile di quegli anni, dove la democrazia corinthiana era nata in un regime dittatoriale, seppure in declino.

Detto questo, ribadisco che il grande calcio professionistico si è allontanato molto dalla normale vita dei comuni cittadini. Una specie di fenomeno hollywoodiano i cui protagonisti, sempre più celebri e popolari, fanno comunque parte di un’altra realtà. Per cui, tra i giocatori degli ultimi anni, non ho registrato alcuna militanza politica, mentre alcuni dedicano un certo impegno sociale all’aiuto dei più deboli con interventi umanitari,  tramite fondazioni o associazioni che promuovono iniziative di sostegno. Un comportamento virtuoso ma che, almeno pubblicamente, non si interroga sulle cause che provocano le condizioni di disagio, ingiustizia e povertà: di conseguenza, nessuna presa di coscienza politica viene espressa. Sui temi come razzismo e sessismo-maschilismo vedo più che altro posizioni di principio, ma declinate come una specie di dovere civico, come un ripetitivo mantra senza, in alcuni casi, troppa convinzione».

Non a caso la difficoltà a trovare posizioni radicali nel calcio ha contribuito a delineare una visione degli stessi calciatori come frutto di un vecchio sistema conservatore. A questo proposito, pensi sia ipotizzabile uno scenario in cui a un simbolo come Buffon – che non è estraneo a endorsement – venga richiesto dall’apparato politico di affrontare una “discesa in campo” per un ministero, o come portavoce. o icona dello sport? Cioè che in un vuoto di posizioni di rottura da parte del calcio, siano gli atleti più vicini a posizioni pro-establishment, o rappresentativi di un’identità nazionale a venire assorbiti dalla politica partitica?

«Credo sia sempre comunque un fatto di condizione economica, perché è ancora la lotta di classe, seppure chiamata in altro modo, a continuare a definire i rapporti sociali. Ora, se un giocatore guadagna le odierne cifre astronomiche, è difficile, salvo eccezioni, che possa sentirsi anti sistema, per non dire rivoluzionario. Quanto all’impegno diretto, è sempre un rischio: il grande calciatore muove la passione dei suoi tifosi, ma incontra l’opposizione di tutti gli avversari. Inoltre, mentre è chiaro che chiunque abbia un ruolo di grande popolarità possa raccattare voti, ci vorrebbe poi anche la competenza, o almeno una minima scuola politica, che mi sembra assente nell’esperienza dei grandi campioni. Guardando alla nostra storia, alcuni ci hanno provato, soprattutto nelle elezioni locali – Ulivieri, assessore a San Miniato, Nervo, sindaco di Solagna, Rustico, consigliere a Bergamo, Peruzzi, consigliere a Blera -, mentre in Parlamento ricordo solo Massimo Mauro e Gianni Rivera, senza peraltro che il loro ruolo abbia lasciato tracce memorabili. È stato come se fossero passati da una figura di protagonisti a quella di gregari. A questo proposito c’era una vecchia battuta sul fuoriclasse rossonero, diventato paradossalmente sottosegretario alla difesa, lui che ispirava con tanta genialità l’attacco.  

Venendo all’attualità, è un ex calciatore anche il neosindaco di Latina, Damiano Coletta, eletto in una lista civica (Latina bene comune), con alle spalle una carriera minore, tra la serie B e la C2. In questo caso l’aver giocato al calcio credo non conti nulla rispetto alla sua esperienza di medico e cittadino impegnato. Quanto a Buffon, dopo Monti ha anche recentemente espresso un parere favorevole su Renzi che, secondo lui, sta operando bene. Una legittima valutazione e niente più. Temo, però, che, assumendo un ruolo politico, difficilmente sarebbe un numero 1 decisivo, a meno che non lo sfidi a farlo Piero Fassino». 

Ok, ammetto che questa non l’ho vista proprio partire e di conseguenza mi ha messo al tappeto. Scommetto che te la sei concessa sapendo che non mi sarei spinto ulteriormente fuori tema e infatti mi hai incastrato. Approfondiremo questa gara virtuale tra portieroni la prossima volta, spero. Intanto torno sui piccoli e marginali esempi a cui facevi riferimento all’inizio della chiacchierata: questo è un Europeo più grande in termini di partecipanti e quindi maggiormente aperto a nazionali “piccole”, che tra l’altro hanno anche fatto bella figura, guarda l’approdo (almeno) agli ottavi di Galles, Irlanda del Nord, Ungheria e Islanda. Pensi che sia una sorta di “errore del sistema”? Una specie di rivalsa di uno sport che nasce come socialità e movimento collettivo più che come somma dei suoi migliori interpreti? O forse invece è esattamente il contrario, e quindi una consacrazione del sistema stesso, che accoglie per non avere sorprese da fuori, che annette, magari.

«L’allargamento dell’Europeo a più squadre credo dipenda da un calcolo economico (più partite, più occasioni di pubblicità, più abbonamenti), con imprevedibili e piacevoli ricadute sulla qualità, come si è visto nel girone eliminatorio. Trovo comunque positivo che piccole realtà possano giocarsela con le squadre più titolate, dimostrando poi sul campo di meritare il confronto, e magari vincerlo. Tra l’altro, i risultati del primo turno hanno definito i due gironi del secondo con diabolica ironia: da una parte i pezzi grossi, dall’altra gli emergenti e i sotto traccia. A conferma di un equilibrio asimmetrico: un rimescolamento originato dalla transumanza dei calciatori migliori verso i campionati più ricchi. In certe nazionali solo pochi giocano in patria, mentre gli altri, normalmente i più forti, sono impegnati all’estero.

Da Crampi Sportivi

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