Commemorazione funebre per Luca Cafiero.
Carissimo compagno Luca, siamo qui oggi in molti a salutarti, a ricordarti, a unirci nel dolore per la tua scomparsa ai tuoi cari: a Ilde, a Francesco, a Olga, a Sandra, a Elies.
Non ti preoccupare, le mie non saranno molte parole. Proprio tu ci hai insegnato ad essere fedeli al rasoio di Occam: Frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora. Cioè: è inutile il più se si può dire o fare con meno.
Ma soprattutto ciò che io sto per dire, come tu hai voluto che fosse, sarà comunque ben poca cosa rispetto all’affetto e all’amore, al ricordo e al pensiero concentrati sulla tua persona di chi mi sta di fronte e di chi, pur non potendo essere presente fisicamente, nutre gli stessi sentimenti e pensieri. Sentimenti e pensieri che non si esauriranno certamente nella giornata odierna, ma resteranno ben vivi, per sempre, in tutti noi.
Abbiamo percorso assieme un tratto importante della nostra vita. Almeno per me il più importante. Abbiamo vissuto una stagione politica, sociale, culturale che ha segnato di sé la storia del secolo. Tu ne sei stato uno dei protagonisti. Una stagione probabilmente irripetibile. Non a tutte le generazioni è dato di vivere un periodo così importante. Noi, lo possiamo dire, siamo stati fortunati.
Nell’ultimo appunto che ci hai lasciato, e che sarebbe stato il tuo discorso alla festa del tuo 80° compleanno e che purtroppo non abbiamo potuto sentire dal vivo, hai scritto che malgrado le grandi modificazioni e trasformazioni che sono intervenute nel mondo e nel nostro più delimitato ambiente politico e sociale, a partire da quella grande esperienza comune che è stato il movimento studentesco milanese ( e non solo ) e grazie ad esso, si è mantenuta una serie di tratti identitari che “ognuno porta con sé a modo proprio”. E’ vero quella nostra collettività ha conosciuto diversi esiti, ma possiamo dire che nel suo insieme ha segnato buona parte della politica e della cultura, cioè della storia del nostro paese negli ultimi cinquanta anni.
E tu ci scrivi che “Se siamo riusciti a realizzare qualche cosa non lo dobbiamo solo e tanto al fatto che eravamo allora ragazze e ragazzi di buoni sentimenti e buona volontà, ma perché – ti dicevi convinto – abbiamo, nonostante ingenuità ed errori, praticato una buona politica. Una politica fatta di valori, di progettualità alte e ambiziose, e soprattutto di analisi critica che rifiutava semplificazioni sloganistiche; una politica che riteneva l’approfondimento teorico, lo studio e il sapere non un di più, ma una componente essenziale per ogni progetto di cambiamento; una politica capace di assumersi le responsabilità di scontri molto duri in difesa della agibilità democratica e della libertà di manifestazione; una politica di disinteresse personale”.
Un percorso - aggiungo io a questo punto - lungo il quale, Luca, tu hai saputo prenderci per mano, affrontando i diversi ostacoli e i possibili abissi, malgrado non ci siano stati risparmiati lutti per la perdita di giovani e generosissimi compagni, cui anche in questo momento va il nostro pensiero. Lo hai fatto con capacità di direzione politica, con coraggio intellettuale e fisico.
Lo hai fatto riconoscendo il tuo e il nostro debito verso l’intelligenza politica di Turi Toscano, senza dimenticare mai il contributo di tutti, anche di quelli con cui si sono creati contrasti o sono intercorse divisioni. A Turi hai dedicato anche le ultime energie dei tuoi pensieri nella vicinanza del 40° della sua tragica scomparsa avvenuta il 24 marzo del 1976. Già, Marzo, come adesso; per la nostra storia uno dei mesi più crudeli.
Hai definito tutto questo, riassumendo la nostra esperienza, come la costruzione di una “elite politica”, ma niente affatto separata dai movimenti di massa. E qui sta, tu lo ripeti, la nostra originalità. Un ossimoro vivente: una elite politica di massa.
Non abbiamo vinto. Lo so, come tu lo sapevi. Non poteva probabilmente essere diversamente. Troppo grandi erano le forze che si mobilitarono contro quel movimento che animò il mondo alla fine degli anni ’60. Da noi durò più a lungo. Questa è stata la nostra importante singolarità. Se vogliamo, la nostra vittoria anche se non definitiva.
Quella singolarità era dovuta all’incontro tra due figure sociali che altrove non c’erano o pesarono assai meno o si comportarono diversamente nelle loro componenti organizzate: lo studente di massa, frutto dell’allargamento del welfare state operato dalle lotte popolari e l’operaio della catena di montaggio scaturito dalle innovazioni tecnologiche di allora e dai grandi processi migratori tra il Sud e il Nord del nostro paese.
Ma avevamo di fronte - forse solo dopo questo ci fu pienamente chiaro - forze davvero potenti, a livello mondiale e interno. Non ci fu solo la nostrana strategia della tensione; contro quella ci sapemmo battere bene e con qualche successo. Né ci fu solamente la stagione del compromesso storico che strozzò la possibilità di espansione dei movimenti e restrinse come il collo di una bottiglia la possibilità che la loro domanda di cambiamento sociale venisse ascoltata e in qualche modo realizzata.
Si realizzò quella che chiamo una rivoluzione conservatrice che le forze del grande capitale, sotto l’egida delle dottrine economiche neoliberiste, hanno condotto su scala planetaria, di cui l’attuale crisi economica e il rigurgito di nuove destre xenofobe, razziste, populiste sono solo l’ultimo frutto avvelenato.
Fu questa controffensiva a capovolgere la situazione e a permettere a uomini come il finanziere Warren Buffet, il terzo uomo più ricco della terra, di affermare con ragione che la lotta di classe esiste eccome, solo che, per ora, l’hanno vinta loro.
D’altro canto se si guarda la politica come è oggi, non si può non vedere l’abisso che la separa da quel nostro passato. Lo iato tra cultura e politica, la trasformazione dei centri studi in uffici stampa, per esemplificare, ha immiserito l’idea stessa della politica agli occhi delle persone. E in primo luogo di una politica di sinistra che di quelle cose si nutriva.
Assieme, caro Luca, abbiamo vissuto il canto del cigno e l’inizio di un processo degenerativo che ha investito le istituzioni della democrazia rappresentativa. All’inizio ci capitava di sentire in Parlamento discorsi di spessore, provenienti da diverse e opposte parti. Per parlare di noi: ricordi, Luca, l’interesse e l’ammirazione che suscitava un intervento di Lucio Magri, malgrado fossimo un piccolo e numericamente insignificante gruppo? Poi via via è prevalso un vociare confuso, un urlare indistinto, insieme a una sordità verso quello che avveniva nella società reale.
Allo stesso tempo diveniva sempre più marcata la prevalenza dell’Esecutivo sulle istituzioni parlamentari, sulla democrazia rappresentativa, per non parlare delle diverse forme della democrazia diretta, che certamente cercheremo di fare rivivere con i referendum per salvare la Costituzione dalle manipolazioni volute dal governo e votate da un Parlamento che non aveva l’autorità per farlo essendo stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale la stessa legge elettorale con cui si è formato.
Tuttavia non siamo alla fine della storia, come qualche sciocco ha scritto. Quanto hai seminato nella tua bella vita resta un bene prezioso che non andrà perduto.
La storia della tua vita non si esaurisce nel ’68 e in quel grappolo di anni che l’hanno seguito. C’è un prima e un dopo, che aiutano a capire quella singolarità, l’evoluzione di una generazione e di una parte di quella cultura comunista che seppe innovarsi grazie all’incontro con i movimenti.
Forse non tutti sanno che tu desti vita a una cellula della Federazione giovanile comunista italiana al liceo Berchet di Milano. Fatto eccezionale in quegli anni, quando il Partito comunista non riusciva a raggiungere il mondo della scuola. Da quel momento hai iniziato un percorso intellettuale e politico che ti ha portato a incrociare la migliore coscienza critica della sinistra comunista milanese. Fosti tra coloro che cominciavano a manifestare un profondo disagio verso l’ortodossia, che si acutizzò con l’invasione dell’Ungheria da parte dei carri armati sovietici. Fu in quella occasione che avesti l’occasione assieme ad altri studenti di incontrare Palmiro Togliatti, che però liquidò assai sbrigativamente le vostre perplessità sui fatti di Ungheria.
Mi piace pensare che quel disagio irrisolto lavorò nella tua mente, aprendola alla nuova avventura che maturò con il movimento studentesco, del quale diventasti da subito animatore e dirigente.
Il tuo ruolo prima di dirigente del Movimento Studentesco; poi di segretario del Movimento Lavoratori per il socialismo; quindi di artefice della felice fusione con il Pdup; la tua opposizione alla cancellazione del Partito comunista e poi i tuoi studi e le tue riflessioni, che svolgevi senza presunzione né iattanza, così frequenti purtroppo in ambito accademico, hanno lasciato un segno indelebile, non solo in noi che ti siamo stati più vicini.
Quanti tra noi hanno avuto la fortuna e il privilegio di frequentarti e di conversare con te in questi anni hanno ben presente il valore, l’acutezza e la saggezza delle tue analisi, dei tuoi giudizi, delle tue riflessioni, sia che si riferissero a epoche lontane della storia umana sia che si misurassero con questo incerto e difficile presente.
Quanto hai fatto ha contribuito a sedimentare una intelligenza diffusa e una capacità di resistenza che continua a esistere e a manifestarsi, magari in modo carsico. Diceva Rainer Maria Rilke, seppure in un contesto del tutto diverso: “Chi parla di vittorie? Resistere oggi è tutto”. Non solo, ma quel “sogno di una cosa” di cui scriveva Marx in una lettera a Ruge dei primi anni 40’ dell’ottocento, continua ad albergare in molti animi, pur nella crisi delle ideologie e delle idee, magari nel grido disperato di un migrante davanti a un muro di filo spinato, che ci rivela le nuove terribili condizioni del mondo.
Ma del presente ci saranno altre occasioni per tornare a parlare.
Ora è il momento di esprimere l’ammirazione per la razionalità e il coraggio con cui hai affrontato la tua inesorabile malattia, fino agli ultimi istanti. Come è stata serena l’ultima conversazione che abbiamo avuto solo pochissimi giorni fa!
Conserverò gelosamente nella mia memoria le cose che ci siamo detti, le ultime e le prime di tanti anni fa, per poterle tramandare ad altri. Per potere dire che una buona vita è tale anche quando si conclude e il modo con cui si conclude dipende – anche se purtroppo non sempre – da quello che una vita è stata. C’è una ragione in questo.
Ce lo spiegava diversi secoli fa Michel de Montaigne, nei suoi bellissimi saggi. Quel Montaigne che i filosofi libertini – da te tanto studiati e stimati – consideravano come una specie di padre spirituale, espressione consapevole e lucida di uno snodo importante nella cultura europea.
Scriveva Montaigne: “E’ incerto dove la morte ci attende: attendiamola dovunque. La meditazione della morte è meditazione della libertà. Chi ha imparato a morire, ha disimparato a servire. Il sapere morire ci affranca da ogni soggezione e costrizione. Non c’è nulla di male nella vita per chi ha ben compreso che la privazione della vita non è di per sé male”.
Sì, è così. Tu ne sei stato capace.
Grazie Luca per essere vissuto ed averci insegnato a vivere.
Alfonso Gianni
Milano, 15 marzo 2016

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