Resisterà il socialismo cubano?
Havana - Cuba aspetta con tranquillità e apparente indifferenza la visita di Obama. Non c'è nessuna "febbre" per l'arrivo del Presidente americano. Così come una partita di ping pong fece da preludio al viaggio di Nixon in Cina, anche stavolta, pur rimanendo il programma della visita ancora non reso noto, si dice insistentemente all'Avana che allo stadio Latino Americano sarà giocata una partita di basebal tra le due rappresentative nazionali e che all'ospite americano toccherà il lancio della prima palla. Nonostante la previsione di questo atto suggestivo, i cubani, in perfetta sintonia in questo caso col loro governo, hanno scelto la linea delle chiacchere che non fanno frittelle. Obama cioè potrà dire ciò che vuole, anche cose di grande fascino, ma finchè il blocco non sarà totalmente revocato, le relazioni tra i due Paesi non faranno significativi e sostanziali passi in avanti e la fiducia cubana verso gli Usa non avanzerà di un millimetro.
Un lungo editoriale del Granma, letto integralmente per televisione, ha presentato a uso del Presidente americano, ma credo anche interno, il senso dell'incontro da parte cubana. Si tratta di un documento rispettoso, ma fermo. Cuba si appresta alle nuove relazioni senza rinnegare niente di se stessa, del suo modo di essere e della sua storia a cominciare da quella della Rivoluzione. Chiede rapporti da pari a pari, in piena autonomia e indipendenza, la fine del blocco, la restituzione di Guantanamo, la cessazione di ogni aggressione economica, psicologica e mediatica da parte dell'imperialismo e della "manipolazione della questione dei diritti umani". Esprime solidarietà totale al Venezuela di Maduro (recentemente reinserito da Obama tra gli Stati canaglia), propone Martì, Fidel e il Che come campioni della lotta per la giustizia e l'indipendenza, figure di eccellenza della storia cubana degli ultimi secoli. Insomma non cede di un millimetro sul piano della contrattazione politica, ma anche e soprattutto su quello dei principi.
E' un documento molto rassicurante (probabilmente volutamente rassicurante) per quanti nel Paese, ma soprattutto fuori di esso temono che il nuovo rapporto con gli Stati Uniti finirà, presto o tardi, anzi più presto che tardi, col travolgere il comunismo cubano. Esiste questo rischio?
L'interrogativo pare pleonastico ed ha una sola risposta: si, esiste. Di sicuro, tanto per cominciare, cambia di segno la partita con gliamericani. Una vasta opinione, anche nel nostro Paese, da per scontato il suo esito infausto per la parte cubana e del Partito Comunista Cubano. E' un errore perchè sono molti, invece, gli elementi che militano per una prospettiva diversa da quella del crollo dell'ultima oasi del comunismo nel mondo. A cominciare dal grande spirito di autonomia e indipendenza del popolo cubano, che ha imparato ad avere diffidenza per i nordamericani. Il Partito comunista cabano ha una forza reale e radici di massa. La grande maggioranza dei cubani, giovani compresi (i piccoli gruppi dissidenti non fanno testo), non si pongono il problema di un cambio di regime. Dare l'immagine di una Cuba in attesa dei liberatori americani è la più grande sciocchezza. Cuba resistette, per così dire, alla visita di Papa Giovanni Paolo II, al contrario degli stati dell'ex blocco sovietico e tanto meglio farà a quella del Presidente nordamericano. C'è infine la questione dell'ordinamento legislativo. Se cioè l'isola continuerà a mantenere sull'afflusso di capitali e di imprese straniere i vincoli attuali che, sebbene recentemente allentati, sono ancora molto forti, non si capisce perchè con gli Usa non dovebbero esserci gli stessi rapporti paritari che ci sono con Russia, Cina, Canada ecc.
Certo c'è un problema, per così dire, di natura ideologica. Su di esso influisce non tanto il riavvicinamento con gli Usa quanto le liberalizzazioni e le aperture al mercato della nuova politica di Raul. C'è il rischio che idee "borghesi", frutto di nuovi rapporti di produzione, soppiantino l'attuale pensiero egualitario e classista. Prova ne sia la vera e propria frenesia per il businnes e più semplicemente il guadagno, che si è scatenata tra la gente e che non era tale fino a pochi anni fa. Ma c'è qualcuno che può realisticamente sostenere che le "aperture" di Raoul, rischi compresi, non fossero necessarie? Quando parla di socialismo "prospero e sostenibile", credo che la dirigenza cubana abbia in mente qualcosa di vicino all'esperienza vietnamita con l'introduzione di quote di mercato controllate dallo stato, per dare un nuovo dinamismo all'economia e e ottenere il consenso di generazioni alle quali il solo ricordo della rivoluzione non parla più. Insomma la partita comunismo e liberismo cambia di segno, proporrà al primo problemi nuovi, ma è tuttaltro che persa.
Leonardo Caponi
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