Se si volesse partecipare a tutte le feste popolari che si svolgono in Umbria non si avrebbe tempo di fare altro. Ce ne sono 303. Mica cosette. Basti ricordare la Corsa dei Ceri, la manifestazione più straordinaria che ci sia in Italia, la Giostra della Quintana a Foligno, il Calendimaggio ad Assisi, il Mercato delle Gaite a Bevagna, il Palio dei Terzieri a Città della Pieve, il Sega la vecchia a Magione, la Corsa dell'anello a Narni, la Festa della Palombella a Orvieto, la Festa dei morti a Perugia, l'Infiorata a Spello, il Cantamaggio a Terni e poi le innumerevoli feste del Santo Patrono.

Si tratta di uno straordinario patrimonio culturale che sopravvive. Quasi tutte hanno un principio antichissimo e poi, spesso, trascurato nel corso dei secoli e rilanciato in tempi più recenti. Nulla però nasce dal nulla. E' il tempo che non passa, la resistenza al cambiamento di tradizioni che sopravvivono nella memoria più profonda. E' l'Umbria com'era e, alla fine, com'è ancora oggi, magari per un giorno solo dell'anno. A Gubbio di feste popolari ce ne sono 33, ad Assisi 26. Poi si scende. Tre a Perugia, due a Terni, sei a Foligno, cinque a Spoleto, sette a Città di Castello. Tra i personaggi religiosi vince, con tutto il rispetto, la Madonna. Tra i mesi quello di maggio. Poi ci sono i numeri che rappresentano il senso più profondo di tante rievocazioni. Lo spiega Giancarlo Gaggiotti nel suo libro " La memoria del tempo". Il tre era già un numero magico nella preistoria, poi il quattro che rappresenta l'ordine cosmico. I due numeri, moltiplicati tra loro portano a 12 e 12 sono gli apostoli, i mesi dell'anno, cavalieri della Tavola rotonda, le sibille, le mammelle della lupa ammansita da San Francesco (non il lupo dei Fioretti, sostengono a Gubbio), e poi i suoni per scacciare il male come gli spari, i cocci infranti, le campane, gli strumenti musicali e poi ancora le danze, e poi il linguaggio dell'acqua, del fuoco, delle pietre, delle montagne, dei boschi. Questa è la voce dell'Umbria, delle sue piccole comunità popolari, della campagna e della sua solitudine. Queste cose però non si inventano, stanno, appunto, nella memoria del tempo. Ciò che si festeggia sono i sentimenti dell'uomo, le sue gioie, magari le sue paure che si spera di esorcizzare.

 A chi verrebbe mai in mente però di impegnare una città come Perugia, che non è, come tutti sanno, un paesotto immerso nel ricordo dei suoi riti lontani, per festeggiare le gesta di un capitano di ventura? Non è successo neppure a Narni, città del Gattamelata, che pure a Padova, dove concluse la sua vita, hanno dedicato un monumento celebre, davanti alla basilica.

Qualcuno, a Palazzo dei Priori, sostiene che una grande festa c'è a Gubbio e un'altra, non meno importante a Siena e allora, perché a Perugia no? Bisogna conoscerli gli eugubini, guardarli nei giorni prima della grande corsa di maggio, capire le loro passioni che sono parte della loro identità. A Siena le borgate esistono davvero. Il popolo dietro le proprie bandiere impazzisce. Come potremmo inventarci noi una passione che non esiste e poi per chi, per Andrea Braccio Fortebracci da Montone? Ma via.

Magari non succederà a tutti ma l'idea stessa di far svolgere nella parte antica della città giochetti da paese tra i rappresentanti dei cinque borghi ci trasmette un sentimento di imbarazzo. Così siamo ridotti? a concorrere alla gara della "Mossa della torre" in piazza Matteotti, al "Tiro del giavellotto" a San Francesco al Prato e al Frontone, alla "Corsa del Drappo" lungo il rettangolo delle vie centrali dell'acropoli? Beh, questo è il contorno, anche se manca il tiro alla fune e l'albero della cuccagna, ma siamo lì. Poi, se ci garba, potremo indossare a nostre spese un costume rigorosamente del primo Quattrocento e poi sottoporlo al giudizio degli esperti. Se non va avremo perso l'occasione di essere protagonisti di una grande rievocazione storica, magari camminare vicino al fantasma di Braccio che entra trionfante in città, come seicento anni fa, dal Borgo d'oro. Avremo i nostri vecchi priori con le toghe rosse e poi mazze, alabarde, spade che ci presteranno gli amici di Gualdo Tadino che su queste cose sono molto più avanti di noi. E poi ci toccherà prendere a prestito un sacco di figuranti e di sbandieratori da altri centri dell'Umbria e della Toscana. Forse non tutti saranno vestiti nello stile del primo Quattrocento e qualcuno verrà da paesi depredati a dovere dal prode perugino che ci accingiamo a festeggiare nel mese di giugno, alla vigilia della liberazione della città. In fondo, quando le cose non vanno bene un duce ci vuole sempre. "Non ci fosse stato lui, caro lei…"

Renzo Massarelli

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