Un detto dice che certe cose si fanno, ma non si dicono. Righini l’ha detto ma non l’ha fatto e le sue parole hanno scatenato un putiferio. “Se fossimo passati con le bustarelle - ha dichiarato a ‘Il Sole 24 ore’ - a quest’ora tutto sarebbe risolto”.

Come giustamente ha sottolineato qualcuno, di “tangenti” (in questo caso soltanto ipotetiche) è meglio parlarne eventualmente nelle caserme o nelle procure. Sui giornali certi argomenti rischiano di innescare soltanto polemiche, a meno che non ci siano iniziative giudiziarie. Diego Righini è il manager della società per azioni ITW LKW Geotermia Italia, promotrice del progetto per la realizzazione di una centrale geotermica nel comune di Castel Giorgio, in provincia di Terni e al confine con il Lazio.

A tale progetto si oppongono praticamente tutti: le vari amministrazioni comunali di Castel Giorgio che si sono succedute in questi ultimi anni (maggioranze e opposizioni), i cittadini, le amministrazioni comunali di tutti i comuni circostanti, partiti ed esponenti politici di quasi tutti gli schieramenti, movimenti, associazioni, comitati, ambientalisti, scrittori, intellettuali. Le dichiarazioni di Righini hanno fatto arrabbiare persino il democratico (e moderato) Eros Brega. Attuale presidente della seconda commissione consiliare permanente, che deve pronunciarsi sul progetto di centrale geotermica, Brega ha respinto al mittente le ventilate ipotesi di corruzione, invitando la presidente del consiglio regionale Donatella Porzi a valutare azioni a tutela degli uffici regionali umbri.

La Regione Umbria si trova letteralmente tra l’incudine e il martello. Tutti i gruppi politici in consiglio regionale hanno approvato una mozione contro l’impianto geotermico di Castel Giorgio. Tuttavia la giunta regionale e gli uffici competenti avrebbero valutato positivamente il progetto. Ora si attende il giudizio della seconda commissione consiliare (attività economiche e governo del territorio) presieduta proprio da Eros Brega.

Intanto comitati e cittadini sono sul piede di guerra e fanno pressing sulla Regione Umbria. Come riporta “Umbria Domani”, testata vicina all’ex presidente del consiglio regionale Brega, proprio durante la riunione della commissione è emersa una lettera di Piero Bruni, presidente dell’Associazione Lago di Bolsena, indirizzata al ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi, ai presidente delle Regioni Umbria e Lazio, ai presidenti delle commissioni Ambiente e ai procuratori della Repubblica di Roma e Terni. Bruni chiede la revoca alla società proponente della concessione e di tutte le sue autorizzazioni, esponendo nel dettaglio i motivi di tale richiesta.

Riportiamo alcuni stralci della lettera di Piero Bruni, pubblicata da “Umbria Domani”: 

 “La società proponente (ITW LKW) ha un socio unico, di diritto austriaco. È stata fondata con capitale di 200mila euro e ha un consiglio di amministrazione di 5 membri, in maggioranza commercialisti. Il signor Righini è il consigliere delegato dalla società per le relazioni pubbliche e per contrastare i detrattori del progetto. La società ha un unico dipendente, presumibilmente una segretaria”. Bruni fa riferimento poi a delle visure camerali del 2014, che mostrerebbero il debito di 4 milioni della società, “di cui 3,5 verso il socio unico e di 0,5 verso i fornitori. Il capitale è stato elevato nel 2015 a 1 milione di euro ma dalle visure non si comprende se parte del debito verso il socio unico è stato convertito in capitale”. Ricostruendo la vicenda si spiega che “alla data del rilascio della concessione sull’Alfina da parte del Cirm, la società aveva un capitale versato di 200mila euro, cifra superiore al minimo previsto dalla normativa per l’apertura di una filiale in Italia, ma la casa madre non è una qualificata industria estera del settore, bensì una società di intermediazione finanziaria austriaca a responsabilità limitata”. Bruni ricorda che “la società italiana non ha mai fatto un lavoro di qualsiasi natura e neppure il socio unico. Quindi la società – dice Bruni – alla data della prima concessione del Cirm non aveva e tuttora non ha alcuna competenza tecnica. Per sopperire a tale deficienza ha commissionato la progettazione dell’impianto ad un consulente estero e ha nominato quale Project manager il professor Franco Barberi”. Il presidente dell’associazione Lago di Bolsena adombra poi il conflitto d’interessi di Barberi, uscito dalla stanza nel momento della votazione al Cirm. “E’ un fatto – continua Bruni – che il Cirm abbia rilasciato alla società proponente la concessione sull’Alfina, a cavallo dell’Umbria e del Lazio nei comuni di Castel Giorgio e Acquapendente senza che la medesima avesse le condizioni tecniche previste dalla normativa, tanto che si è rivolta a consulenti tecnici esterni”.

 “Il campo geotermico dell’Alfina è fra i migliori esistenti in Italia, dato che alla profondità di 1000 metri la temperatura è di 150 gradi. Il campo geotermico era stato esplorato dall’Enel con una quindicina di pozzi per cui non erano necessari i costi di ricerca ed era possibile l’immediata richiesta di sfruttamento della riserva geotermica. Inoltre la società proponente ha ottenuto dal Cir, ben due impianti pilota sui 10 ammessi dal Governo. Il progetto iniziale prevedeva il recupero di due pozzi abbandonati dall’Enel, poi modificato più volte fino ad arrivare ad un totlare di 18 pozzi, sempre con autorizzazione Cirm”.

“La nostra associazione - spiega Bruni - i sindaci del comprensorio e la popolazione si oppongono alla realizzazione del progetto perché prevede di estrarre in Umbria da sotto il bacino idrogeologico del Tevere 1000 tonnellate/ora di fluido geotermico per reiniettarlo sotto il bacino idrogeologico del lago di Bolsena, mettendo a rischio di inquinamento da arsenico il sovrastante acquifero che alimenta la rete potabile del viterbese, oltre a mettere a rischio inquinamento anche il SIC-ZSC di Bolsena. Nel Comune di Acquapendente il proponente ha ubicato la centrale proprio all’interno di una zona protetta ed anche in questo caso si verifica il rischio di inquinamento della falda acquifera che alimenta la rete potabile dell’orvietano. Tutto ciò – ricorda Bruni – è affermato da eminenti geologi per cui, ammesso e non concesso che sussistano dei dubbi su quanto da loro affermato vale il principio di prudenza”. Da qui l’allerta: “Si chiede chi potrebbe aver organizzato e finanziato i 3,5 milioni di euro fin qui spesi per l’avviamento, dato che il socio unico, secondo le visure austriache, sembra essere un intermediario. Ci si chiede anche chi finanzierà i 50 milioni di euro per realizzare gli impianti. Se esiste un finanziatore, dovrebbe rendere palese la propria identità, altrimenti le autorizzazioni sarebbero rilasciate al buio, senza sapere chi sarà poi l’effettivo responsabile. Circostanza rilevante: le azioni sono di proprietà austriaca e quindi per 25 anni gli utili, dovuti principalmente agli incentivi italiani, finirebbero all’estero”. Nella conclusione, “data l’evidente mancanza all’origine dei requisiti tecnici e finanziari richiesti”, si chiede la revoca della concessione.

(da Etruria News)

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