Tra intelligenza emotiva ed emozioni intelligenti
E’ sotto gli occhi di tutti, e alla portata della comprensione dei più, il fatto che stiamo vivendo un’epoca ricolma di contraddizioni, conflittuale nelle relazioni interpersonali e in quelle di aggregazione sociale, riottosa al superamento dell’individualismo esasperato e affatto propensa a considerare le ragioni degli altri anche a scapito delle proprie.
Ognuno pare andare per conto suo, fiero di un orgoglio egocentrico che non rende giustizia alla causa di un comune destino e che, se disatteso, travolgerà per primi proprio coloro che ad esso si sono frapposti con insensata e scellerata caparbietà.
Il dato più preoccupante, però, consiste nella circostanza che all’orizzonte non sembrano intravedersi delle chiare e limpide intelligenze capaci, di per se stesse, a cospargere di chiarore il buio dell’annaspare di un’umanità alla disperata ricerca di una via d’uscita dal vicolo cieco nel quale si è cacciata.
Vogliamo allora approfondire, seppur in succinta sintesi, il valore morale e simbolico del sentimento intellettivo?!? Se lo consentite, mi ci proverò!
L’intelligenza nativa, la genialità acerba, il talento naturale sono doni della Divina Provvidenza che la stessa dispensa secondo un disegno imperscrutabile alle moltitudini e riservato, probabilmente, solo a pochi privilegiati; l’acculturamento e la fame e sete di conoscenza sono invece nella disponibilità di ogni essere umano purché, coscienziosamente, si abbia la volontà di assecondare la propensione ad elevarsi culturalmente e si possegga la piena consapevolezza della limitatezza dei propri mezzi raziocinanti.
Nel mezzo vi è la sensibilità individuale che, al pari di una bilancia ben calibrata, fa pendere l’ago ora sotto, ora sopra, il livello mediano dello spartiacque tra sufficienza o meno delle doti intellettuali.
Ne consegue che l’intuizione, espressione della intelligenza arcana e primordiale, va colta e afferrata nell’attimo in cui si manifesta; l’idea, conseguenza diretta dello stadio intuitivo ed espressione dell’intelligenza ponderata e riflessiva, va invece coltivata rigorosamente con tenacia e sacrificio fino a conferirle forma compiuta e sostanza di contenuto. E’ null’altro che uno dei processi di formazione della razionalità che può sfociare, in pari misura, su due sponde solo in apparenza diametralmente opposte: la certezza delle conquiste della ragione o il dubbio dell’analisi spuria e non suffragata da risultati assoluti e universali che, insieme, concorrono ad alimentare l’eterno dualismo dialettico tra essere e divenire.
Non sarà difficile, a questo punto, convincersi che la sfera di estrinsecazione delle facoltà geniali è riservata all’universo delle intuizioni e delle percezioni ultrasottili: di idee, migliori o peggiori, se ne possono infatti contare a bizzeffe e, invece, ciò di cui si avverte sempre più l’assenza è il deficit pandemico di brillanti e stimolanti inventive, piccole o grandi che siano.
Occorre anche considerare che, nel mondo contemporaneo così come oggi è strutturato, le intuizioni di un genio accendono molto spesso il fuoco di temibili sconquassi negli ordini costituiti delle scienze, dell’economia e della politica. Ecco perché le fulgide intelligenze tendono, molto spesso, a nascondersi e a ritirarsi in nicchie anacoretiche per timore di essere additate al pubblico ludibrio: la peggior sventura, dunque, che possa capitare al possessore di genialità è quella di essere compreso poiché, proprio nel momento in cui viene accolto e celebrato, le sue qualità geniali svaniscono nella ordinarietà dell’acquisito.
E il genio rischia di perdersi e, con lui, la luce da diffondere su ciò che è oscuro e che, invece, per l’utilità generale andrebbe illuminato.
Non ricordo bene chi fosse, ma qualcuno in tempi non lontani ebbe a dichiarare che “un politico guarda alle prossime elezioni mentre uno statista guarda alle prossime generazioni”. Mi permetto solo di aggiungere che, a detta combinazione duale, manca una terza categoria: quella degli attuali governanti i quali, colpevolmente, non guardano a niente.
Henry Ford, fondatore della omonima casa automobilistica statunitense, soleva affermare che un’idea intuitiva rimarrà incompiuta e infeconda se non scaturiranno, da essa, pratiche applicazioni tali da migliorare le condizioni di vita e di benessere per l’intera umanità.
Qualcuno potrebbe obiettare che il pensiero appena espresso è tipico di una visione metafisica e di un disegno utopico della realtà; ma le utopie sono plasmate della stessa sostanza dei sogni che si realizzano quando uno meno se lo aspetta.
Di tutto mi si potrà accusare, fuorché di essere un genio poiché, inconfutabilmente, non necessita essere dei geni per capire di quale drammaticità è intriso il tempo dell’oggi.
Mario Tiberi

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