Ormai resta difficile continuare a chiamarla la terra di mezzo come facevamo anni fa. Non solo perché il brevetto se l'è preso un oscuro personaggio di Roma uscito improvvisamente dalle nebbie degli anni settanta ma anche perché la vicenda dei rifiuti e l'ombra di inquinamenti mafiosi anche dalle nostre parti rende più contorta la narrazione che si vuol fare di questo progetto che vede impegnate le regioni del centro, comunque l'Umbria, le Marche e la Toscana, tanto per cominciare.

A cinque anni dall'incontro del teatro Pavone, a Perugia, siamo ancora al punto di partenza. Non c'è un progetto, un linguaggio comune, un lievito culturale capace di far germogliare questa pianticella che resta lì, ai confini con l'Italia di Milano a nord e con quella di Roma a sud. Chi siamo? cosa vogliamo fare e dove vogliamo andare? Per ora, ed è passato un bel po' di tempo, non lo sappiamo. Allora, fanno un po' tenerezza i presidenti di tre regioni che si incontrano di nuovo per parlare, così dicono, di infrastrutture. Ricominciamo davvero da tre, ma anche da zero. Milano è diventata di nuovo la capitale morale d'Italia e Roma quella di sempre, capitale politica, con il fascino del suo passato e le miserie dell'oggi, perché così è scritto nella Costituzione e anche nella storia, ma anche capitale della politica dei partiti, che di questi tempi vive una vita grama.

Cosa abbiamo noi da dire a una nazione così? Del resto non è chiaro se queste terre dell'Italia centrale cercano di riallacciare i fili di un vecchio discorso così, tanto per parlare di strade e ferrovie, o perché spinti dal peso di questi progetti che parlano di accorpamenti e di macroregioni. I nostri presidenti si sono risvegliati, in verità, per capire come si possa affrontare questa idea di scompaginare la vecchia Italia del Novecento, cambiare la cartina geografica che tutti gli scolari delle elementari si trovano accanto nelle loro aule? E' possibile e, alla fin fine, persino inevitabile. Come si fa a non parlare di un progetto che cancella molte regioni e crea entità politiche più grandi e, in molti casi, così poco omogenee. Da un po' in Umbria ci si divide tra chi preferisce un matrimonio con le Marche (più alla pari) o con la Toscana (più ricca e decisamente più grande). Alla fine, almeno secondo il disegno di questa nuova Italia presentato da un deputato del Pd, siamo rimasti in mezzo con la Toscana da una parte e le Marche dall'altra. Una specie di corridoio di Danzica orizzontale che taglia in due il Paese e ci regala due sponde sul mare.

E' curioso e, diciamolo apertamente, anche piuttosto grave che non si sia aperto un dibattito in tutta la regione. Si può sempre dire che siamo ancora davanti a un disegno, neanche il primo, che ci mostra un'Italia delle regioni che è pieno di fantasia e di contraddizioni. Però è giunto di tempo di parlare del futuro di questa regione così piccola e così poco considerata, anche se i turisti stranieri, che non votano, ci amano molto. Il fatto è che dopo il colpo mortale assestato al Senato e alle Province che costeranno sempre come prima ma non conteranno più nulla ora sembra arrivato il momento delle regioni. Il disegno neocentralistico è ormai chiaro, ma non è quello della vecchia Italia dei prefetti e dei tanti uffici decentrati dei ministeri e neanche, per dire, quello prima dell'Unità, con i suoi tanti staterelli, regni, ducati e granducati. Questo disegno guarda il futuro ed è una cosa molto più sofisticata. E' una nuova repubblica quella alla quale stanno mettendo mano, dove conteranno le élite politiche e finanziarie e molto meno, come dice la costituzione, il potere del popolo. Comunque, i nostri presidenti si incontrano per parlare di una stazione nella campagna toscana dove corrono i treni dell'alta velocità, e di cosa si può fare per completare qualche superstrada. E di qualcos'altro, chissà. Su tutto il resto regna il silenzio. C'è il capo del governo che decide per noi e lui ha sempre ragione, come succedeva una volta. Intanto il potere locale e non solo le Regioni ma anche i comuni, sono sempre i primi destinatari della cosiddetta revisione della spesa. Calano i servizi e aumentano le tasse. Ci sono sprechi in giro per i mille campanili d'Italia? Beh, certo. Facciamo leggi più efficaci e diamo più strumenti a chi deve controllare, ma intanto non possiamo chiudere gli ospedali e cancellare la prevenzione sanitaria. Se il potere locale non vince questa battaglia torneremo davvero a chiamarci l'Italia di mezzo e basta. Come sembrava naturale solo cinque anni fa, quando eravamo tutti più inconsapevoli.

Renzo Massarelli

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