Umbria, pensioni da fame
La scorsa settimana il Corriere dell'Umbria ha pubblicato una notizia che è passata quasi inosservata, derubricata a componente della normalità delle cose. Eppure si tratta di una notizia derivata dal notiziario sociale Inps, a pensarla bene, sconvolgente: oltre il 77% delle pensioni in Umbria sono inferiori ai mille euro al mese. La loro media è esattamente di 729,50 euro. Significa che i quattro quinti dei circa 320mila assegni pensionistici pagati in Umbria, non sono tali da assicurare ai loro percettori livelli di vita dignitosi, in qualche caso minimi. La percentuale umbra è superiore a quella nazionale che è comunque al di sopra del 70%. La cosa che colpisce con maggiore sgradevolezza nella nostra regione è il dato, per cosi dire, femminile. Le donne percepiscono un importo medio di 551,41 euro mensili. E' evidente che questi dati esprimono ancora l'arretratezza del sistema produttivo umbro del passato caratterizzato, basti pensare alla mezzadria o all'industria tessile, da contributi nulli o bassissimi (specie per la manodopera femminile) cui corrispondono altrettanto bassi importi pensionistici. La loro media a Terni è infatti superiore a quella perugina, per effetto di quelli degli ex siderurgici delle Acciaierie. Il futuro umbro non è comunque per nulla rassicurante. Continua a permanere infatti, anche se forse ridotto, un differenziale significativo tra i salari umbri, relativi contributi previdenziali e la media nazionale. La fortuna, per così dire, dei pensionati e delle pensionate umbre è che essi, in genere, sono ospitati in contesti familiari che attutiscono in maniera determinante i casi di estrema indigenza. Ma per chi è solo e abita m città, sono dolori. Si tratta di persone escluse da quella forma di economia curíense caratterizzata dalla pensione del padre o della madre che funge da reddito integrativo dello stipendio dei figli, sistema che, per anni, ha sorretto la struttura sociale umbra. La crisi, la disoccupazione, la difficoltà a trovare o recuperare lavoro lo hanno da tempo messo in difficoltà e, realisticamente, nulla lascia presagire che per il futuro, almeno di medio periodo, le cose possano cambiare in maniera significativa.
I dati di cui sopra fanno sommaria giustizia di uno capisaldi delle politiche di questi anni, che hanno guidato ad un progressivo e drastico ridimensionamento delle prestazioni sociali. La rappresentazione di un'Italia scialacquona che, nei decenni passati, avrebbe messo a carico delle nuove generazioni i propri lussi. Ne è stata fatta addirittura una questione di carattere morale. Sepolcri imbiancati! Ma di che lussi parlate, con mille o cinquecento euro di pensione al mese , dopo una vita di lavoro?!
Ora questa, che è una vera emergenza nazionale, è completamente ignorata dal mondo politico. E' una curiosa Italia quella nella quale viviamo, un Paese nel quale si cercano le risorse per esentare dal pagare le tasse sulla casa anche chi non è ha bisogno, oppure si da una mancia di ottanta euro (solo) a una parte dei lavoratori, ma non ci si cura minimamente di dare, ai più esposti e bisognosi (e anche a chi, dopo tanti anni di fatiche, ne avrebbe maggior diritto) condizioni di dignità.
Ora immancabilmente, a questo punto del ragionamento, viene proposta la presunta insostenibilità del sistema pensionistico. Ma questa pretesa insostenibilità è determinata, come si vede, non dal valore delle prestazioni. Essa è stabilita dai "mercati". Ridurre la moneta circolante, aumenta la sua forza. Questo concetto è stato così ben applicato in Europa e in Italia che ha dato origine ad una lunga fase deflattiva, dalla quale non vi sono segnali seri di ripresa. La sostenibilità può essere assicurata in due modi: quello di tagliare le prestazioni (cosa che è stata fatta senza tregua da vent'anni a questa parte) o aumentando gli introiti con una politica espansiva che combatta la disoccupazione.
Per questo, a ben pensarci, i pensionati attuali possono considerarsi anche fortunati. Loro, bene o male e anche se misera, una pensione ce l'hanno. Pe i giovani di oggi non ci sarà neanche quella.
Leonardo Caponi
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano Corriere dell'Umbria di martedi 3 novembre 2015.
L'autore ha autorizzato la sua riproduzione anche su Umbrialeft.

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