Sento alcuni compagni di provata fede dire che ormai non c'è più niente da fare, la sinistra è finita e l'unica speranza sarebbe Renzi.

Uno sbandamento dopo l'ennesima sconfitta è comprensibile, come pure il pessismismo, ma così è troppo. Guardiamo anche la finanziaria approvata in questi giorni. L'abolizione per tutti della tassa sulla prima casa (che è stata corretta solo per le residenze regali) corrisponde ad una richiesta storica, una specie di bandiera, della borghesia italiana e nasce dall'idea che i redditi dei ricchi vanno preservati perchè si trasformino in investimenti. E' la logica che spinge a tagliare la spesa pubblica e gli interventi sociali dello Stato per accrescere i redditi individuali. L'esperienza di questi decenni dice che l'aumento della ricchezza individuale e dei profitti di impresa non genera nuovo benessere equamente distribuito, ma corrisponde solo ad un aumento dei patrimoni finanziari e dell'elusione ed evasione fiscali. Anche l'innalzamento a tremila euro liquidi delle transazioni finanziarie ha come padri le classi imprenditoriali e agitate; insieme al jobs act serve per ridurre il costo del lavoro (pagando in nero gli operai) e avere più margini di affari senza controlli.

E' la finanziaria della Confindustria; era tradizione che l'associazione degli industriali si lamentasse a prescindere, ad ogni finanziaria, mentre stavolta non dice niente, come chi tace acconsente.Il governo Renzi è il governo della Confindustria e, all'insegna di una pseudomodernizzazione del Paese, guida la definitiva restaurazione ed il dominio liberista in campo economico, sociale, istituzionale, arrivando a fare quello che Berlusconi nemmeno aveva pensato. Renzi ha cancellato principi e conquiste che i lavoratori avevano raggiunto in decenni di lotte.

La sinistra non è finita. La sua attuale marginalità è determinata dall'operazione politico ideologica che sono riusciti a fare di spostare contro la politica tout court e la casta dei politici, quella che era la ribellione e la protesta sociale. Mi viene sempre detto che sono riusciti a cambiare il campo di gioco. La diffusione di una incultura politico istituzionale di massa è stato il veicolo attraverso il quale hanno fatto transitare scelte di appartenenza diverse, cioè il consenso ad altri partiti e spinto molta gente alla resa dell'astensionismo. Perchè questo sia potuto accadere è un campo che va indagato a fondo. Vi sono cause oggettive (un certo cambiamento della struttura produttiva, il crollo dell'Urss, le leggi elettorali, le responsabilità epocali, liquidazioniste e distruttive, degli ex comunisti del Pd ecc.). Ci sono poi errori e colpe imperdonabili proprie della sinistra, di natura strategica, politica e di costume (scissioni continue, gestione demenziale dei gruppi dirigenti, fughe in avanti, carrierismo ed elettoralismo, cedevolezza e settarismo ecc.).

Dire che la sinistra non è fintita non è un atto di fede. La sinistra esisterà sempre finchè vi sarà la sofferenza sociale (e la divisione in classi). Continuo a ritenere l'antipolitica una cosa effimera, non duratura o comunque non duratura per sempre. L'Italia non è l'America che ha storia e risorse diverse per alimentare un qualunquismo di massa. La crisi non è destinata in Italia e nell'Occidente ad esaurirsi nel giro di qualche tempo. I movimenti antipolitici si riveleranno impotenti di fronte ad essa. Da vecchie e nuove contraddizioni potrà ripartire una sinistra (e, io credo, anche una prospettiva comunista). Certo, senza escludere precipitazioni immediate, questa prospettiva presuppone un lavoro di lunga lena, senza impazienze elettoralistiche e ripartendo dal basso. Potrà passare attraverso la preliminare ricostruzione di una cultura politica (il vecchio nuovo campo di gioco) e contestualmente con strategie e politiche giuste. Dovrà essere, a mio giudizio, una unica sinistra che contenga al suo interno anime diverse e dovrà nascere dal superamento delle attuali organizzazioni e attraverso un processo di ricostruzione senza rete, con la linfa di nuovi gruppi dirigenti. Ma questo lo vedremo. L'importante, nei momenti difficili, è non perdere la fede.

Leonardo Caponi

 

 

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