Lo Stivale cambierà presto fisionomia. Della logica del risparmio imperante fa parte il riassetto delle regioni, il contenimento numerico e, quindi, i nuovi confini. Ne resteranno probabilmente 12, oltre a un’area metropolitana. Per quanto ci riguarda, l’Umbria è destinata a scomparire, insieme ad altre sette realtà territoriali. L'attuale area sarà compresa nella nascitura Regione Appenninica, comprendente la Toscana e parte del Lazio. Il problema si pone in termini di storia, cultura e tradizioni. Le affinità dell'Umbria con le Marche e l’Alto Lazio (ex province di Viterbo e Rieti) e l’aggiunta eventuale di Grosseto appaiono più marcate, rispetto all’intera Toscana. Unire le Marche con l'Umbria significa riportare i confini al 1860 e inserire Rieti può essere un ritorno a quella Provincia Umbro-Sabina che comprendeva Perugia, Terni e il capoluogo laziale. Si pensi a come si siano discostate tradizioni e costumi in meno di cento anni (considerato che la separazione territoriale avvenne nel ’27 per Terni e nel ’23 per Rieti), ma si rifletta anche su come l’eventuale riavvicinamento risponda ad una logica storica pur sempre recente. Il nuovo assetto non può prescindere da un retaggio culturale condiviso, passaggio obbligato per intercettare e rappresentare le istanze nuove di un turismo che privilegi la natura, la storia e la cultura di un determinato territorio. Turismo e cultura sono i veri e propri assi portanti di quest’area, destinati ad essere il denominatore comune di una collaborazione che non ignorerà anche altri settori dell’economia già radicati.

Dalle voci che circolano, lo sconvolgimento dei parametri storici e delle peculiarità territoriali sarà totale. Il rischio di fondere vocazione imprenditoriale, caratteristiche orografiche e geografiche, peculiarità culturali in un unico calderone può incidere significativamente nella realtà locale e nella pianificazione di sviluppo della nuova area. Al momento, il problema è ignorato da politici umbri e marchigiani, si ascoltano solo tiepidi interventi provenienti da singoli; nulla si è mosso nel senso corale, come se la cosa fosse di secondaria importanza per i cittadini. Non è assolutamente accettabile accogliere con rassegnata accondiscendenza disegni e disposizioni caduti dall’alto. Qualunque soluzione sarà adottata, questa deve provenire da un attento dibattito, da accorte valutazioni, da condivise scelte con la partecipazione attiva dei nostri giovani, considerato che il futuro appartiene a loro e ai loro discendenti. Molti sono gli aspetti da sottoporre a discussione, né è possibile prendere quel che ci viene dato, specie se chi ce lo offre ignora le realtà locali.

Piuttosto, nel riordino e nella logica del risparmio, che cosa si deciderà sull’autonomia di regioni che allo Stato centrale costano un occhio della testa? Sparirà la condizione di favore, o a pagare il prezzo della cinghia stretta saranno sempre i soliti noti?

Un’ipotesi non trascurabile è la cancellazione totale delle regioni e la costituzione di  vaste aree geografiche organizzate a livello di Comuni con servizi centralizzati. Lo studio merita una profonda analisi e un’ampia discussione, sicuramente ricco di prospettive meno nebulose di quanto si tema.
 

Giocondo Talamonti,
Associazione "Enrico Berlinguer"

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