Una crisi infinita lunga otto anni (tutt’altro che conclusa), che ha visto perdere almeno 20 mila posti di lavoro, che vede oggi aperte almeno 190 crisi aziendali, non puo’ concludersi in Umbria con la parola fine sull’esperienza del nostro regionalismo.

Sarebbe il suggello del definitivo impoverimento e della strutturale marginalizzazione del nostro territorio. Non tenendo conto del fatto che prevalentemente in Umbria il regionalismo ha prodotto risultati positivi, che hanno consentito a partire dagli anni '70 una notevole crescita economica, sociale e culturale. L’Umbria non puo’ essere cancellata con un tratto di penna, come vorrebbe il senatore Ranucci del Pd, che ha fatto assumere dal governo un ordine del giorno che punta alle macroregioni.

Ha ragione Stefano Vinti, la soppressione dell’Umbria è un atto antidemocratico inaccettabile.

L’idea di semplificazione tanto cara al governo Renzi è intrisa di falsa modernità perché la democrazia di un Paese non puo’ essere basata su criteri meramente quantitativi come il numero degli abitanti. Vogliamo ricordare che in tutto il mondo esistono numerose esperienze di governi locali con poteri decentrati più forti e consistenti delle nostre regioni e con una popolazione assai più esigua. Due esempi su tutti sono gli stati del Maine e del Vermont negli Usa o un land come la Saar in Germania.

L'esperienza regionalistica umbra va quindi salvaguardata. Lavorando, tutte le volte che è indispensabile, su una possibile e necessaria programmazione comune con le altre regioni dell’Italia centrale.

 Al momento il dibattito politico e culturale su questi temi è quasi inesistente. E' necessario riaprirlo. Con urgenza. La regione Umbria deve avere un futuro.

Mario Bravi

 

Condividi