Cos’è il Social Housing? Business allo stato puro
Perugia – Sui limiti del progetto del Social Housing che sarebbe allo studio della Giunta Regionale dell’Umbria con un piano di investimenti di circa 130/140 milioni di euro, l'ex assessore regionale alle Politiche abitative, Stefano Vinti, interviene e apre il dibattito sulla questione. Vinti (che attualmente fa parte dell'associazione "Sinistra lavoro in Umbria") spiega che «è necessario fornire ai lettori ulteriori elementi su cosa sia in realtà il social housing». Ecco il suo intervento.
Presso la Cassa depositi e prestiti, con la partecipazione di Abi e Acri (banche e casse di risparmio) si è costituito un maxi-fondo di 2,6 miliardi di euro per il social housing - spiega Vinti - Attraverso una società di gestione risparmio (Sgr) questo fondo dovrebbe intervenire per finanziare progetti di edilizia sociale, decisi a livello locale con la partecipazione di fondazioni bancarie, imprese cooperative, enti locali e regionali previa costituzione di appositi fondi immobiliari. Si tratta dunque di un sistema di fondi immobiliari a livello regionale e locale e di un fondo a livello nazionale, il cosiddetto Fia (Fondo investimenti per l'abitare).
Tra maxi fondo e fondi territoriali stiamo parlando di circa 10 miliardi di euro destinati ad una prima casa che, secondo la legge 133/2008 del Governo Berlusconi, avrebbe dovuto soddisfare le fasce più deboli (inquilini a basso reddito, giovani coppie, anziani, disabili e sfrattati), ma la storia non è andata affatto così - continua Vinti - Gli impegni di spesa sono assai modesti e infatti non superano il miliardo di euro. Per loro natura i fondi d'investimento non solo hanno la necessità di rientrare entro il breve periodo, ma anche di massimizzare i capitali investiti. In Umbria, ad esempio, gli investimenti che riguardano la costruzione di alloggi da affittare a canone sociale, che corrisponde ad un canone di 75 euro mensili, non attirano nessun interesse di dato il basso tasso di guadagno. I "costruttori", dove sono partiti i primi "programmi integrati di edilizia sociale", hanno subito trovato il modo per costruire nuove abitazioni da vendere a prezzi di mercato senza rinunciare alle risorse messe a disposizione dalla Cassa depositi e prestiti e all'uso gratuito delle aree messe a disposizione degli enti locali. Inoltre si tratta di programmi che godono di una corsia preferenziale per derogare delle norme urbanistiche, oltre che, delle immancabili e notevoli agevolazioni fiscali. I costruttori hanno trovato il modo, una sorta di grimaldello per aggirare gli impegni verso l'abitare sociale.
Il grimaldello - continua l'ex assessore - sta in un "anche" contenuto nella Legge 133/08, laddove al comma 3 dell'arti 1 si parla di realizzazione "programmi integrati di programmazione di edilizia residenziale anche sociale". La Corte costituzionale con sentenza n.121 del 26 marzo 2010 ha accolto in parte i rilievi di costituzionalità sollevati, tra quelli accolti c'è la richiesta di cancellare la parola “anche”, perché i programmi edilizi della Legge 133/08 devono essere finalizzati "esclusivamente", dice la Corte, per l'edilizia sociale, ossia alle fasce deboli della popolazione. I motivi appaio chiari, infatti in Italia sono in attesa di un alloggio a canone sociale, presso i comuni, circa 700mila famiglie, di cui 5.000 in Umbria - dice Vinti - Una vera emergenza abitativa che investe le fasce deboli della società, in particolare in questa interminabile crisi economica dove chi perde il lavoro corre il serio rischio di perdere anche la casa. Nonostante questa importante sentenza i programmi predisposti fingono di ignorarla. Non si intende rinunciare a servizi della parolina magica "edilizia sociale" come fosse parte di operazioni immobiliari e speculative, nuova cementificazione e consumo del suolo. Oltre il danno la beffa, come se in Italia già non esistessero vani sfitti e invenduti.
La sentenza non va ignorata o lasciata cadere, le forze progressiste, le organizzazioni confederali e i sindacati degli inquilini dovrebbero farla rispettare nelle sedi negoziali ed in quelle legali, anche in Umbria, se necessario. E da ritenere giusto che le imprese che si candidano a costruire alloggi sociali si avvalgano di vantaggi fiscali, finanziari, urbanistici, amministrativi, ma l'offerta abitativa deve essere coerente e non contraddittoria rispetto ai bisogni dei giovani, degli anziani, delle fasce deboli che vivono il disagio abitativo, ormai strutturale.
«In particolare - conclude Vinti l'offerta deve essere rivolta all'affitto sociale e non residenziale, che da la priorità ad alloggi m vendita, agli spazi commerciali, agli spazi per servizi ed uffici, e lo deve fare ancorandosi alla sentenza della Corte costituzionale per dimostrare la diversità tra la destra e la sinistra e per rispondere al populismo del "prima gli italiani". Infine, per impedire a tutti coloro che soffrono il disagio e la precarietà abitativa, si ripresenta, oltre il danno la beffa. L'offerta in affitto continuerà ad essere inaccessibile a coloro che vivono una situazione di disagio abitativo. Ancora una volta, i veri beneficiari del Social Housing sono i privati, la sostanza è business allo stato puro.

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