PERUGIA – Non c’è area della regione, ne settore economico che si salva: questa la sintesi estrema del rapporto dell’Irres-Cgil che è stato illustrato stamani e che ci fornisce un quadro non certo esaltante della situazione dell'Umbria. La crisi è dunque ben lungi dall’essere sconfitta è stanno a dimostrarlo le 185 aziende che in tutta la regione si dibattono fra ostacoli e difficoltà di ogni genere e che appaiono insuperabili. E si tratta di “un quadro assolutamente parziale che tiene conto soltanto delle situazioni più rilevanti, si spiega.

Stando ai numeri il settore metalmeccanico è quello che appare sicuramente in maggiore difficoltà con ben 47 vertenze aperte, fra le quali quelle assai rilevanti dell’Ast di Terni e, soprattutto, della ex Merloni, ora J&P Industries, dove in 800 rischiano di rimanere nei prossimi due anni senza reddito alcuno. Ma non vanno certo trascurate altre situazioni altrettanto drammatiche per i territori che investono, come quella, per citarne una, della Trafomec di Tavernelle.

E 47 sono anche la situazioni di crisi che investono ilsettore del commercio, alle quali si vanno ad aggiungere le 20 dell’edilizia, un comparto colpito duro dalla crisi dove l‘occupazione è stata praticamente decimata.

E poi, come non dire delle difficoltà del settore agroalimentare, a partire dalla Perugina-Nestlé per passare al salumificio Cassetta e alla San Gemini, per le quali la soluzione tarda a venire?

In crisi pesante anche i settori della cooperazione sociale (in questo caso sono 17 le aziende in difficoltà), della grafica, delle telecomunicazioni, della chimica dove un po’ di sollievo è rappresentato dall’impatto degli ammortizzatori sociali che sono stati attivati. Senza dimenticare certo i drammi, di minore significato numerico, singolarmente presi, delle piccole e piccolissime aziende artigianianali che invece non possono godere di questo temporaneo sollievo.

Un quadro a fosche tinte, dunque, nel quale tuttavia anche l‘Irres-Cgil inizia ad intravvedere un po’ di rosa, un “miglioramento parziale” costituito principalmente da un lieve ripresa occupazionale (gli occupati sarebbero cresciuti dell’1,5 %, con un recupero di 5.300 posti di lavoro in Umbria che incide poco però sul tasso di disoccupazione che si mantiene al 12,5%. Questo perché molti inattivi sarebbero tornati a cercare "attivamente" il lavoro). Un po’ di luce si intravere anche per quanto riguarda le assunzioni (+ 3.100 nei primi 4 mesi, periodo in cui, a marzo, è entrato in vigore il contratto a tutele crescenti previsto nel Jobs act). Secondo il report di Irres si tratta in molti casi di stabilizzazioni, ma un effetto positivo del Jobs act viene comunque sottolineato.

Per ciò che riguarda la Cig, l’Irres Cgil parla di 5,6 milioni di ore autorizzate tra gennaio e maggio, con un calo dell’8 per cento ma, in contemporanea, un crescita del 7 per cento di quella straordinaria, che oramai pesa per il 44 per cento sul totale. Nei primi tre mesi i lavoratori coinvolti sono stati 6.814, di cui 3.446 nella Cigo (ordinaria), 3.005 nella Cigs (straordinaria) e 363 nella Cigd (deroga).

Qualche miglioramento arriva anche dai consumi, con un segno meno che si va assottigliando rispetto alla fine dell’anno precedente. Bene invece l’export, che da gennaio ad aprile, al netto del peso dell’acciaio, segnerebbe un più 6%, come pure il credito, per il quale si parla però di un «generale miglioramento» rispetto a dicembre (da +0,5% a +1,2%). «Ciò – si sottolinea – risente del contributo positivo delle imprese di minori dimensioni (+1%), di un apporto stabile delle famiglie consumatrici (+0,7%) e di un ingente crescita delle erogazioni al comparto pubblico (+10,8 %)».

Vincenzo Sgalla, segretario generale Cgil Umbria: “La crisi c’è e non basta un po’ di ‘doping occupazionale’”. “Ci vuole un intervento d’emergenza da parte di tutti”.

“Dobbiamo uscire dalla logica della contrapposizione tra ‘gufi’ e ‘salvatori della patria’. La crisi c’è, i dati che presentiamo oggi, insieme a quelli dell’Istat, di Confindustria e di svariati altri soggetti, lo dimostrano in maniera inequivocabile. E non basta un po’ di “doping occupazionale”, rappresentato dagli incentivi stanziati dal governo per le assunzioni a tempo indeterminato, ad invertire il trend. Quello che serve è prima di tutto un intervento d'emergenza, che, attraverso l’impegno di tutti, ci consenta di risolvere il maggior numero possibile di crisi presenti nella nostra mappa, e al tempo stesso un progetto di rilancio del sistema produttivo dell’Umbria. Il rischio altrimenti è che la nostra regione venga risucchiata sempre di più in quel pezzo di Italia centro-meridionale che, come spiegato molto bene nell’ultimo studio Svimez, è a rischio di crisi permanente e irreversibile. Dunque, l’idea di una legislatura regionale “aggressiva”, come recentemente dichiarato dalla presidente della Regione Catiuscia Marini, ci trova certamente d’accordo. Proponiamo di fissare obiettivi, concreti e misurabili, di creazione di buona occupazione, attraverso un impegno congiunto di tutti i soggetti economici e sociali dell’Umbria: istituzioni, a tutti i livelli, associazioni delle imprese, organizzazioni sindacali, mondo del credito e università. Le risorse disponibili, a partire dai fondi europei della nuova programmazione, devono essere legate direttamente alla creazione di lavoro. Accanto a questo, occorre individuare nuove forme di welfare regionale in grado di sostenere concretamente le fasce di popolazione, sempre più ampie, che subiscono duramente gli effetti della crisi. Insomma, appurato che il tunnel è ancora lungo, è necessario attrezzarci per la sopravvivenza al suo interno”.

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