di Maria Pellegrini

"E adesso, da mattina a sera, sia giorno di festa o di lavoro,

allo stesso identico modo l’intero popolo e i senatori

tutti si agitano nel foro e mai altrove li trovi;

tutti occupati in un solo e unico scopo, alla stessa arte:

imbrogliare con scaltrezza, lottare con l’inganno,

gareggiare in lusinghe, mascherarsi da onesti,

tendere insidie, come se fossero tutti nemici di tutti."

L’espressione “tutti nemici di tutti”, o semplificata in “tutti contro tutti”, che noi moderni spesso usiamo senza aver nozione della sua origine antica, deriva da una satira di Caio Lucilio, poeta satirico del II sec. a.C., che ritrae un affresco impietoso dei contrasti e delle liti che al suo tempo avvenivano nel Foro, centro della vita politica e giuridica di Roma, avvilita e ridotta a imbrogli e lotte per il potere.

Gaio Lucilio, nato a Suessa Aurunca in Campania probabilmente intorno al 180 a. C. da una ricca famiglia equestre, avrebbe potuto percorrere con successo la carriera politica, preferì invece vivere come privato cittadino, dedicandosi agli studi e all’amministrazione dei suoi beni, per poter continuare a “essere se stesso”, secondo le sue stesse dichiarazioni: “Diventare un appaltatore della provincia d’Asia o un esattore invece che continuare a essere Lucilio, io questo non lo voglio e non lo baratto con tutto l’oro del mondo”.

Della sua vita abbiamo poche notizie, ma sicuramente fu al seguito di Scipione Emiliano, nella campagna di Numanzia, terminata con la presa e la distruzione della città nel 133 a. C. Per il resto dei suoi anni si dedicò alla cura dei propri affari che gli permisero una vita agiata e di acquistare a Roma una casa lussuosa, e un’altra a Napoli, dove nel 102 morì. Non sappiamo nulla degli ultimi anni della sua vita, ma è certo che dedicò l’intera esistenza alla creazione delle sue satire in versi.

Egli fu dunque tra quei poeti che, affermata l’autonomia dell’individuo dallo Stato, mirò a valorizzare se stesso, e le proprie aspirazioni personali. A ciò era pervenuto grazie alle suggestioni esercitate dal “circolo scipionico” cui apparteneva. Intorno alla figura di Scipione Emiliano - uomo d’azione ma anche sensibile interprete delle nuove esigenze culturali - si era infatti riunito un gruppo di intellettuali illuminati fra i quali Gaio Lelio, oratore e appassionato di filosofia (detto “il sapiente” per la sua vasta cultura, e giudicato il miglior oratore del suo tempo da Cicerone che ne fa il personaggio principale del dialogo “Sull’amicizia”), il commediografo Terenzio, e Lucilio stesso, considerato il padre della satira romana (un genere letterario che sarà uno dei più originali della letteratura latina), ma anche intellettuali greci portatori di più mature esperienze culturali, come lo storico Polibio e il filosofo stoico Panezio di Rodi.

Tutti gli appartenenti a tale circolo, considerando la cultura un elemento essenziale per la formazione dell’uomo, si dedicavano allo studio nelle pause della vita politica, riconoscendo nell’arte e nella cultura un valore autonomo. Ma a Roma cominciavano turbolenze interne, rivolte provocate dalle audaci riforme dei Gracchi, si evidenziavano squilibri sociali, e insieme alla ricchezza si diffondeva la corruzione. La satira luciliana prende dunque di mira i vizi che egli osserva nella società a lui contemporanea: l’amore per il lusso, i cibi raffinati, la degenerazione sessuale, la corruzione negli affari pubblici e nell’amministrazione delle province, l’ipocrisia del moralismo tradizionale rappresentato da Catone il Censore, custode vigile e ostinato della romanità tradizionale e inflessibile avversario dell’aristocrazia filoellenica rappresentata appunto dalla famiglia degli Scipioni. Lucilio non fa soltanto satira di costume; la sua violenza verbale, la sua ironia si esplica contro personaggi politici.

Un esempio del modo con cui egli frusta gli avversari degli Scipioni, può essere offerto dall’invenzione grottesca che apre il primo libro delle sue satire: gli dei si riuniscono a concilio per decidere quale sorte riservare a Lentulo Lupo, personaggio politico tanto famoso quanto discusso nella Roma dell’epoca, il quale, dopo aver ricoperto la carica di console nel 156 a.C., nonostante fosse stato accusato di concussione e pertanto espulso dal Senato, fu reintegrato e divenne persino “princeps senatus” nel 131 a.C.

Lucilio descrive gli dèi a concilio preoccupati per la degenerazione dei costumi. Giove deplora la grave situazione di Roma dove dilagano vizi e corruzione, il diffondersi del lusso, “ toghe orlate di porpora, tuniche di Lidia, tappeti orientali tutte cose ignobili”. Il concilio e la discussione diventa una parodia di una seduta del senato romano. Finalmente individuato il vero pericolo di Roma in Lentulo Lupo, uno dei maggiori rappresentanti di quella degradazione della società, gli dei lo condannano a a una grande abbuffata. Gli offrono intingoli e salse a base di pesce che il goloso mangia fino morire d’indigestione. “Ti uccidono, Lupo, le sardelle e le salse di storione”, è il commento satirico di Lucilio.

Presentandosi come tante vivaci rappresentazioni di un mondo reale, le satire di Lucilio, delle quali rimangono frammenti di circa 1300 versi dei trenta libri originari, testimoniano la prodigiosa velocità dell’autore nello scrivere in quel linguaggio quotidiano e comune di conversazione spensierata. Egli denuncia l’importanza eccessiva data alle ricchezze, tanto che il denaro è diventato il metro con cui giudicare il valore degli uomini: “tanto hai, tanto sei e tanto sei stimato”. Accanto alla satira politica e di costume, nell’opera di Lucilio, trovano posto argomenti di tipo strettamente autobiografico, come il racconto di un viaggio in Sicilia (primo esempio di narrazione di un viaggio che abbiamo nella letteratura latina, seguito poi da Orazio e da altri) nel quale con molto gusto e tono leggero l’Autore rievoca piccoli incidenti e fissa impressioni, descrive attrazioni turistiche, si prende gioco di personaggi incontrati lungo il percorso.

In sostanza si può dire che in tali satire sono rappresentati con disinvoltura, aggressività, estremo realismo, l’ambiente dell’epoca sia esso letterario, che sociale e politico, parlando a coloro che nella poesia cercano la realtà e la varietà della vita, e rifiutando le favolose immagini del mito. Ma la qualità della satira luciliana travalica tale angusto limite politico, e spazia praticamente in tutti i campi della vita sociale. “Soffregò di molto sale, tutta la città”, dirà di lui Orazio. Ma alcuni frammenti indicano una forte tendenza a esprimere non solo opinioni ma anche sentimenti personali - come la passione amorosa - che ne fanno quasi il precursore della poesia soggettiva, psicologica ed erotica dei poetae novi e di Catullo. Un altro “pioniere” dunque, che apre la strada a nuove esperienze della letteratura latina ancora relativamente vicina ai suoi esordi. Ma Lucilio ha un altro grande pregio, che forse alcuni critici rozzi intenderanno come un difetto: quello della varietà degli stili e del lessico. Si va infatti da colloquiale familiare al parlato colto, e si scende talvolta al linguaggio popolare e volgare, con l’uso frequente di vocaboli greci.

È davvero un peccato che una produzione così ricca e illuminante sia andata perduta. L’intera opera di Lucilio avrebbe dato un quadro completo dell’età dei Gracchi, che preparò le contese civili del secolo successivo. Forse per questo Lucilio negli ultimi anni della sua vita, quando gli venne meno l’appoggio di Scipione Emiliano e del suo amico Lelio, morti prima di lui, si ritirò a Napoli.

Nota

Quintiliano affermerà: “Satura tota nostra est”, “la satira è interamente nostra”. Ciò è vero, la satira come genere letterario autonomo, intesa soprattutto - ma non esclusivamente - come critica di costumi riprovevoli e di individui sciocchi e corrotti, è sicuramente iniziata, fra i latini, da questo personaggio di spicco, vanto, insieme al commediografo Terenzio, del cosiddetto circolo degli Scipioni. La parola “satura” deriva probabilmente dall’espressione “lanx satura”, cioè piatto, vassoio (o una focaccia) ricolmo di molte e diverse pietanze a indicare un componimento aperto a vari argomenti, ma è con Lucilio che essa assume il carattere caustico che oggi noi le attribuiamo.

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