di Giorgio Airaudo

Il governo "ago­ni­stico" di Renzi con­ti­nua a lasciare il lavoro e i lavo­ra­tori in fondo alla clas­si­fica sociale degli inte­ressi che rappresenta. I quasi 15 miliardi impe­gnati per soste­nere gli sgravi con­tri­bu­tivi alle assun­zioni hanno pro­dotto, secondo i dati dell’Istat, tra marzo 2014 e marzo 2015 un saldo posi­tivo tra ces­sa­zioni e atti­va­zioni di quasi 30.000 unità. Certo meglio che niente! Ma molto poco se para­go­nato alle neces­sità: 3.400.000 disoc­cu­pati a cui vanno aggiunti oltre tre milioni di sco­rag­giati e altri tre milioni, in aumento, di lavo­ra­trici e lavo­ra­tori poveri che pur lavo­rando e in molti casi facendo più di un lavoro lot­tano con red­diti che sci­vo­lano sotto la soglia di povertà.

E ancora molto poco anche se con­fron­tato con la quan­tità di denaro pubblico,15 miliardi, inve­stita in que­sta operazione. Per avere dati più certi, al di là della pro­pa­ganda di governo visto l’imminente appun­ta­mento elet­to­rale in 7 regioni, biso­gnerà aspet­tare la fine di luglio con i nuovi dati Istat. Anche se col­pi­sce il modo con cui il nuovo pre­si­dente dell’Inps Tito Boeri inter­preti il suo ruolo, più "can­tore" del governo che ammi­ni­stra­tore delle pen­sioni degli Ita­liani, visto che i più accorti tra noi sanno che i dati sulle atti­va­zioni al lavoro che l’Inps può for­nire sono dati ammi­ni­stra­tivi e non reali.

Dati, per­ciò, che devono scon­tare le tra­sfor­ma­zioni da un con­tratto all’altro e devono anche tener conto del fatto che lo stesso indi­vi­duo può essere inte­res­sato a più con­tratti di lavoro nell’arco di un tempo anche breve. Men­tre per quanto riguarda gli effetti, mode­sti ma rav­vi­sa­bili, degli incen­tivi che sono, come è noto, senza vin­coli e con­di­zioni per le imprese, si può legit­ti­ma­mente dubi­tare sulla sta­bi­liz­za­zione di quei posti di lavoro soprat­tutto dopo l’entrata in vigore effet­tiva del con­tratto a tutele crescenti. Il rischio con­creto è che si stia creando una bolla occu­pa­zio­nale che esplo­derà tra 3 anni alla fine degli incen­tivi. Si può in sin­tesi affer­mare che di nuovo, come per gli 80 euro, stiamo spen­dendo male le poche risorse pub­bli­che che met­tiamo a dispo­si­zione del lavoro, senza aggre­dire le dise­gua­glianze e con­tra­stare la cre­scente povertà che fran­tuma la società italiana.

Il governo lascia soli le lavo­ra­trici e i lavo­ra­tori, li rende merci tra le merci sva­lu­tan­done la pre­sta­zione e met­ten­doli in con­flitto gli uni con gli altri in una eterna guerra tra poveri. E, fatto ancor più grave, non si prende atto che anche una ripresa degli inve­sti­menti pri­vati potrà pro­durre, per l’effetto appli­cato delle inno­va­zioni tec­no­lo­gi­che hard­ware e soft­ware e delle loro rica­dute sui pro­cessi orga­niz­za­tivi, un numero assai infe­riore di occu­pati rispetto ad un tempo. Per­ciò è sem­pre più urgente la costru­zione di una pro­po­sta poli­tica e di governo che imponga un’altra via, quella della redi­stri­bu­zione del red­dito attra­verso un red­dito di cit­ta­di­nanza che impe­di­sca impo­ve­ri­mento ed esclu­sione sociale e quella della redi­stri­bu­zione del lavoro attra­verso un piano che indi­chi all’Europa la via di un New Deal in alter­na­tiva all’austerità.

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