di Andrea Colombo

Il Naza­reno non c’è più. È uffi­ciale, messo nero su bianco in una nota par­to­rita dall’ufficio di pre­si­denza azzurro: "Forza Ita­lia sarà libera di valu­tare quanto pro­po­sto di volta in volta, senza alcun vin­colo poli­tico". È una rot­tura a metà, con por­tone lasciato aperto alla con­trat­ta­zione "volta per volta", e ci pensa Toti a chia­rirlo: "Mica siamo kami­kaze. Le riforme sono nell’interesse del Paese". In realtà anche la ver­sione Toti è più dura di quanto non avrebbe voluto Ber­lu­sconi. Per lui il patto non è affatto defunto, e scopo dell’intemerata, oltre allo sfogo, era solo met­tere un freno a pos­si­bili modi­fi­che della riforma elet­to­rale det­tate dalla sini­stra Pd: in con­creto a una varia­zione della pro­por­zione tra eletti e nomi­nati. Paure infon­date. Ora che Renzi ha avuto dalla mino­ranza Pd quel che gli ser­viva non vede l’ora di disfar­sene: l’uomo è fatto così.

Però a fin­gere di pren­dere sul serio la minac­cia, e a ren­dere così la rot­tura molto più reale, è pro­prio Renzi, l’ex socio. Dirama ai suoi un ordine pre­ciso, e quelli ese­guono: "Pic­chiate duro". Parte la vice­se­gre­ta­ria Ser­rac­chiani, che con quella fac­cia da eterna bam­bina fre­sca d’oratorio sa essere fredda e feroce come un pro­vetto serial kil­ler: "Patto rotto: meglio così". Segue Lotti: "Ognuno per la sua strada. Con­tenti loro…". Boschi finge una pal­li­dis­sima media­zione: "Noi andiamo avanti. Se Fi ci ripensa siamo qui". Il carico finale lo mette il capo in per­sona con il solito tweet: "Gli ita­liani avranno l’ultima parola con il refe­ren­dum. E vedremo se sce­glie­ranno noi o chi non vuole cam­biare mai". Anche in que­sto caso, avendo otte­nuto dal patto del Naza­reno ciò che gli ser­viva, riforme e legge elet­to­rale, il pre­mier non vede l’ora di sba­raz­zarsi di un ex alleato diven­tato sco­modo: l’uomo è fatto così.

Renzi può per­met­tersi l’affondo per­ché Ber­lu­sconi non può, né vuole, votare con­tro le riforme in seconda let­tura: gli coste­rebbe milioni di voti. Ma se può sfo­de­rare il mas­simo pen­sa­bile d’arroganza è anche per­ché il pal­lot­to­liere è dalla sua parte. Alfano e Lupi, con il grosso dell’Ncd, sono tor­nati all’ovile. Molto per paura: sanno bene di essere poli­ti­ca­mente ine­si­stenti. Ma un po’ anche per­ché i segnali arri­vati dalla loro scarna base dicono che Mat­ta­rella agli elet­tori dell’Ncd e dell’Udc piace: è pur sem­pre un demo­cri­stiano.

Ma soprat­tutto Renzi ha gio­cato l’intera par­tita del Naza­reno e ancora gioca con nella manica un asso con le sem­bianze di Denis Ver­dini. Il tosca­nac­cio è pronto a mol­lare Ber­lu­sconi, por­tan­dosi die­tro un solido grup­petto di sena­tori. È stato pro­prio lui, nel corso del teso col­lo­quio con Ber­lu­sconi di mar­tedì pome­rig­gio, ad avver­tire l’amicone. Chissà se Ber­lu­sconi si sarà reso conto di essere oggetto di una nemesi in piena regola. Ver­dini ha gio­cato la stessa parte che decenni fa toccò all’avvocato Cesare Pre­viti nella tor­bida vicenda dell’acquisto a prezzi strac­ciati di Arcore. Uffi­cial­mente Cesa­rone doveva rap­pre­sen­tare la mar­che­sina Casati Stampa, in realtà faceva solo gli inte­ressi di Ber­lu­sconi. Esat­ta­mente quel che ha fatto ora Ver­dini, rap­pre­sen­tando Ber­lu­sconi ma facendo in realtà solo gli inte­ressi di Renzi.

Iso­lato, tra­dito e con le spalle al muro Ber­lu­sconi ha gio­cato a caldo la sola carta che gli restasse. I suoi depu­tati hanno ral­len­tato quanto più pos­si­bile il per­corso del mil­le­pro­ro­ghe. "È l’antipasto di quel che potrebbe avve­nire sulle riforme", avverte il capo­gruppo azzurro in com­mis­sione Bilan­cio Rocco Palese. Ma è una minac­cia spun­tata: ser­virà tutt’alpiù ad alzare il prezzo delle trat­ta­tive "volta per volta".

L’ennesima gior­nata nera di Ber­lu­sconi si deve, ancora una volta, allo stato di avan­zata disgre­ga­zione del suo par­tito. I ber­lu­sco­niani doc ave­vano pro­vato per tutto il giorno ad alle­stire un’offensiva con­tro Ver­dini, senza di fatto riu­scirci. In mat­ti­nata Fitto aveva chie­sto l’azzeramento dei gruppi diri­genti, senza otte­nerlo: solo Bru­netta, nella riu­nione dell’Ufficio di pre­si­denza diser­tata dallo stesso Fitto e da Capez­zone, ha fatto il gesto di ras­se­gnare le dimis­sioni, ma solo per veder­sele respin­gere. Al vicerè pugliese, la sera prima, Ber­lu­sconi aveva offerto di entrare con qual­cuno dei suoi nel gruppo diri­gente, ed era con­vinto di averlo se non con­vinto almeno rab­bo­nito. Invece, pro­prio men­tre si svol­geva la riu­nione della pre­si­denza, Fitto ha orga­niz­zato sui due piedi una con­fe­renza stampa tra le più bel­li­cose, che ha man­dato fuori dai gan­gheri il capo.

In finale di par­tita, l’ex onni­po­tente si trova con Denis Ver­dini pronto a pas­sare dall’altra parte, Fitto più che mai deciso a sfi­darlo, la rin­no­vata alleanza con Alfano nau­fra­gata e comun­que inu­tile, sotto il giogo di un Renzi spie­tato con i vinti. Per il grande affa­ri­sta, il patto del Naza­reno non è stato un buon affare.

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