di Antonio Sciotto

E dire che ce n’eravamo accorti, ma per for­tuna c’è l’Istat che con­ferma con le sue rile­va­zioni le nostre per­ce­zioni quo­ti­diane: i salari degli ita­liani (tec­ni­ca­mente le “retri­bu­zioni con­trat­tuali ora­rie”) nel 2014 sono saliti solo dell’1,3%, dato che rap­pre­senta il più basso dal 1982. Va anche detto, per com­ple­tezza, che l’anno scorso l’inflazione è stata molto bassa, quasi pros­sima allo zero (+0,2%), ma acqui­sito que­sto dato non è che comun­que le buste paga ci fac­ciano una gran figura. Oltre­tutto quel numero rap­pre­senta una media, per­ché ci sono lavo­ra­tori con il con­tratto già bello che sca­duto, o che addi­rit­tura non lo rin­no­vano da anni, come ad esem­pio quelli del pub­blico impiego.

Anche su que­sto punto ci viene in soc­corso con le sue sta­ti­sti­che l’Istat, rive­lando che in dicem­bre erano più i dipen­denti senza con­tratto rin­no­vato che quelli che ave­vano già siglato: il 55,5% a fronte di un più “for­tu­nato” 44,5%. Que­sto sul totale dell’economia, inclu­dendo quindi anche i pub­blici, che con il loro “con­ge­la­mento”, risa­lente ormai al 2009 (prima Ber­lu­sconi, poi Monti, Letta e Renzi: hanno con­tri­buito tutti), alzano di parec­chio la media. Se ci con­cen­triamo sul solo set­tore pri­vato, i lavo­ra­tori in attesa di una firma delle imprese (con rela­tivo aumento) scen­dono al 42,4%.

I con­tratti che aspet­tano il rin­novo, cal­cola l’Istat, sono 37, e coin­vol­gono 7,1 milioni di dipen­denti; 15 di quei 37 appar­ten­gono alla pub­blica ammi­ni­stra­zione, e riguar­dano 2,9 milioni di per­sone. Un’attesa che forse vuole emu­lare quella di Pene­lope: in media 37,3 mesi (21,7 per i soli privati). Giu­sto per non citare solo chi attende, nomi­niamo qual­cuno dei più “for­tu­nati”: i set­tori con i mag­giori incre­menti sono stati tlc (+3,5%), gomma e pla­stica (+3,3%), tes­sile e pelli (+2,9%). Nulle le varia­zioni del commercio.

E però qual­cuno si muove, per recla­mare il pro­prio con­tratto. Si tratta dei ban­cari, che già reduci da anni di ristrut­tu­ra­zioni (causa crisi, fusioni ban­ca­rie e l’avvento di Inter­net, che ha rivo­lu­zio­nato let­te­ral­mente il set­tore), vogliono almeno sor­ri­dere guar­dando la pro­pria busta paga. Oggi scio­pe­rano, scen­dono in piazza, urlano in cor­teo con­tro l’Abi (l’associazione delle ban­che ita­liane) dopo che nel novem­bre scorso si sono rotte le trattative.

La pro­te­sta è stata indetta uni­ta­ria­mente da tutte le sigle sin­da­cali, che spie­gano di esser­sela presa in par­ti­co­lare con "la deci­sione uni­la­te­rale dell’Abi di disdet­tare e disap­pli­care, a par­tire dal pros­simo 1 aprile, i con­tratti col­let­tivi". "È un prov­ve­di­mento senza pre­ce­denti in nes­sun altro set­tore — incal­zano le orga­niz­za­zioni di cate­go­ria — Dei 416 con­tratti in vigore nel pri­vato e nel pub­blico, infatti, solo quello dei ban­cari è stato disdettato".

L’obiettivo dell’Abi, nell’immediato, sarebbe quello di "bloc­care la cre­scita auto­ma­tica degli sti­pendi rispetto all’inflazione", ma più a lungo ter­mine, i sin­da­cati vedono una minac­cia ancora più grossa: "L’Abi punta a sman­tel­lare il con­tratto nazio­nale di cate­go­ria e le tutele con­trat­tuali vigenti, sosti­tuen­dolo con con­trat­ta­zioni azienda per azienda. Que­sto cree­rebbe un’enorme dispa­rità di trat­ta­mento eco­no­mico e nor­ma­tivo tra i lavo­ra­tori e le con­di­zioni per ulte­riori e sel­vaggi tagli di posti, dopo i 68 mila già eli­mi­nati negli ultimi 15 anni".

Una spe­cie di corsa al dum­ping e al far west che i ban­cari ten­te­ranno di respin­gere non solo con lo scio­pero, ma anche con quat­tro mani­fe­sta­zioni di carat­tere macro­re­gio­nale che si svol­ge­ranno a Milano, Ravenna, Roma e Palermo. Molte filiali reste­ranno chiuse o lavo­re­ranno molto a rilento. «Se le ban­che non cam­biano atteg­gia­mento, andremo avanti a oltranza chie­dendo l’intervento del pre­si­dente Renzi».

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