La storia pubblicitaria della Perugina è fatta di ingegnose trovate e grandi successi che, insieme alla qualità delle produzioni, un tempo eccelse e uniche, fecero la fortuna del marchio e della fabbrica. La prima fu quella dei concorsi di figurine a premio (tra le quali i Quattro Moschettieri e quella, ricercatissima, del feroce Saladino) che, nella seconda metà degli anni ’30, quelli del primo grande sviluppo dell’azienda, costituì un evento precursore nelle cronache del costume italiano.

Nel ventennio lo stabilimento, basso di color nocciola chiaro che occupava la vasta area oggi conosciuta come Piazza del Bacio tra via Mario Angeloni e via Cortonese, ebbe l’onore di ricevere la visita del duce Benito Mussolini che pronunciò, come recano gli annali, una delle sue ampollose, ma all’epoca ambite e gratificanti, frasi: “vi autorizzo a dire che la vostra cioccolata è veramente squisita”.

Negli anni che seguirono l’avvento della tv, l’impresa scelse come indovinato veicolo pubblicitario il seguitissimo Carosello. Puntò sulla sua produzione di eccellenza, Il “Bacio” con uno spot dal motivetto allegro e orecchiabile (molti lo ricorderanno) che faceva così: ”Tanti baci Perugina, la, la, la…”.

Dopo il dramma della guerra, la Perugina, insieme all’Angora Spagnoli, ha dato lavoro a generazioni di ragazze e ragazzi che volevano una famiglia e un futuro. I successi commerciali ne fecero nel decennio ’70-‘80 una grande azienda che, nel periodo di maggiore fortuna, arrivò a contare, tra fissi e stagionali, più di 3.500 dipendenti. Fu una risorsa decisiva per la città. Erano i tempi dell’industrializzazione. Buona parte del reddito delle famiglie e del Pil provenivano dalla Perugina o dal Poligrafico Buitoni.

Il trasferimento dello stabilimento a S. Sisto fu sostenuto dalle Amministrazioni locali con una operazione immobiliare trasparente che non suscitò opposizioni. Ma per la famiglia Buitoni il passaggio a gruppo manageriale (che nel frattempo, con la sigla IBP, aveva acquisito altri stabilimenti nel mondo) si rivelò insostenibile. Erano gli anni dell’inflazione “galoppante” e le banche gli chiesero interessi del 14%. Carlo De Benedetti allora in corsa per il sogno, poi naufragato, di costruire, con la Sme, un grande polo (il maggiore d’Europa) alimentare e dolciario e protagonista anche del mondo della finanza, fu in grado di ottenere finanziamenti a tassi incredibilmente inferiori (si parlò all’epoca del 4%) e acquistò il gruppo, debiti compresi, per la somma dichiarata di circa 250 miliardi di lire.

Quando l’industriale torinese, inizialmente accolto in Umbria per le sue idee illuminate come un salvatore della patria, dovette rinunciare, per colpe forse non prevalentemente sue, all’ambizioso progetto, vendette il gruppo perugino al colosso svizzero Nestlè ad una cifra (anch’essa dichiarata) cinque volte maggiore del prezzo di acquisto, oltre 1250 miliardi, dopo una discussa ristrutturazione che ridusse di circa 800 unità gli occupati di S. Sisto.

Anche la Nestlè, pur con qualche distinguo, fu accolta con speranza ed entusiasmo. Il tempo non li ha confermati. In tutti questi anni c’è stata nella fabbrica, nel sindacato, nella sinistra una discussione sulla giustezza o meno delle strategie che furono di volta in volta seguite per difendere lo stabilimento. Ma la tendenza al declino fu irreversibile. Da azienda leader di un gruppo, la Perugina divenne una delle tante di una multinazionale, che la sottopose alle sue logiche di competitività esterne e interne.

Oggi la Perugina conta meno di 900 dipendenti. Nella sua storia si profila una nuova svolta negativa? I sindacati denunciano il calo dei volumi produttivi dopo le molte esternalizzazioni e si preparano ad aprire una vertenza. Il peso dell’azienda nell’economia della città è inferiore, ma Perugia non può permettersi di perdere uno degli ultimi presidi del “manifatturiero”. Dopo essere stati tutti ternani, siamo pronti ad essere tutti perugini.

Leonardo Caponi

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