Operai, manganelli e politica industriale
Mercoledì mattina.
La piazza e le vie che la circondano, solitamente brulicanti di motori impazziti guidati da autisti impazienti, stamani sono vuote, chiuse da qualche metro di nastro giallo e qualche decina di camionette antisommossa. Ma le piazze, si sa, non vivono di vita propria ed hanno bisogno di qualcuno che ci sgommi o che le calpesti per poter svolgere compiutamente il loro compito. Ecco allora che la piazza torna a vivere, riempendosi questa volta non del metallo delle lamiere e dei pistoni, ma di uomini che con quel metallo lottano ogni giorno, cercando di piegarlo alla loro volontà (o a quella di qualcun'altro?) nella speranza di riuscire anche questo mese a ricevere il giusto compenso per quella lotta estenuante.
Gli uomini del metallo sono lì, in piazza, ad urlare sotto l'ambasciata di un governo che non è il loro perché ormai, si sa, non puoi pensare che il mondo finisca dietro casa tua: l'internazionalismo avanza, ma stavolta non nel segno dell'unità dei molti contro i pochi, bensì nell'interesse di quegli stessi pochi che ormai sono diventati pochissimi.
Ma gli uomini dell'acciaio non si lasciano scoraggiare dalla potenza di quei pochi che ormai dispongono sempre con più completamente delle loro vite, neanche quando quel governo straniero li prende a pesci in faccia con un comunicato ai limiti del ridicolo. Decidono allora di andare ad urlare la loro rabbia a casa loro, al loro governo, a quel governo che dovrebbe farsi carico di problemi che non riguardano solo gli uomini del ferro, ma tutta la comunità di cui anch'essi fanno parte; ed ecco che la risposta del Governo arriva più Celere che mai, addirittura in anticipo sulla domanda: manganelli. Sembra di tornare indietro di molti anni, a tempi che molte delle persone che vivono in questo paese non hanno mai vissuto (incluso chi scrive), a tempi in cui parlare di lotta di classe non appariva poi così strano e conservatore: i figli degli operai picchiano gli operai. Si crea confusione, la tensione sale, partono insulti, bottiglie, tre di quegli uomini, che neanche il fuoco di un altoforno era riusciti a piegare, si accasciano sotto i colpi di chi avrebbe il compito di garantire i loro diritti.
Per chi scrive ed era li, non è stato un bello spettacolo, ve lo posso assicurare.
L'altro giorno non si è segnato un punto di svolta nella lotta sociale di questo paese, ma nella brutalità della polizia ha preso forma violentemente concreta e tangibile il pensiero che questo governo ha del lavoro organizzato e delle sue battaglie: non dovete preoccuparvi del come e del perché, fidatevi di quello che facciamo senza tante domande e cercate di stare buoni.
Se poi buoni non ci state, il mezzo per rimettervi in riga lo si trova sempre.
Quella di Mercoledì tuttativa è stata una giornata importate, perché ci permette di tornare a focalizzare l'attenzione sui temi realmente cruciali di questo paese: una comunità di 60 milioni di persone non può reggersi in piedi se non ha alla base una vera politica industriale che indichi la strada del come, cosa e dove produrre. E' questo un punto che, seppure spesso dato per scontato, non viene mai portato alle estreme conseguenze, alla conclusione cioè che oggi più che mai c'è bisogno di un serio intervento da parte dello Stato nella progettazione e nell'indirizzo della produzione nel suo territorio. Se è infatti vero che non si potrà uscire dalla crisi economica che attanaglia l'Italia e l'Europa senza un intervento massiccio delle autorità governative in questo senso, altrettanto vero è che il processo vada avviato ad ogni livello, compreso quello regionale e locale. Ed allora capiamo meglio perché i licenziamenti ed i ridimensionamenti aziendali della AST non sono un problema dei soli operai che lì guadagnano il proprio pane o della sola città di Terni: sono un qualcosa che ci riguarda direttamente perché frutto di processi economici che, se non invertiti, continueranno ad avanzare sempre più pressantemente in ogni angolo del paese.
Ma allora i manganelli, vero strumento di comunicazione di un governo che non ne vuol sapere di controllare i processi ed innescare nuovi cicli economici, ci possono davvero riportare con i piedi per terra, per capire che ora più che mai è arrivata l'ora di innescare una lotta corpo a corpo contro una produzione che se ne frega delle sorti delle comunità e delle terre sulle quali esse vivono, per tornare a riappropriarci non solo del salario (e di un giusto salario) ma anche del diritto di decidere quale sarà il frutto del nostro lavoro.
Proprio per questo, Sinistra Ecologia e Libertà di Orvieto crede sia necessario riaprire al più presto un vero e profondo confronto tra le forze politiche di questa città, a partire da quelle della coalizione uscita vincitrice dall'ultima tornata elettorale, sulle prospettive dello sviluppo economico del nostro territorio, per innescare nella città una più ampia discussione che possa arricchirsi del contributo di tutti, dalle forze sociali e le loro organizzazioni ai singoli cittadini.
David Proietti
Sinistra Ecologia e Libertà Orvieto

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