di Giorgio Airaudo

La seconda parte del Job Act, dopo quella che ha per­messo di sti­pu­lare con­tratti a ter­mine di durata trien­nale senza indi­care la cau­sa­lità, nel decreto Poletti, sta per uscire dal car­retto dei gelati di Renzi, pas­sando al senato per la com­mis­sione lavoro pre­sie­duta dall’ex mini­stro Mau­ri­zio Sacconi. La prima parte del Job Act, a dif­fe­renza di cosa hanno pro­vato a rac­con­tare recen­te­mente alcuni mini­stri del sin­daco d’Italia, non sta fun­zio­nando cioè non crea nuovi posti di lavoro.

Da feb­braio a luglio 2014, gli occu­pati in Ita­lia sono pas­sati da 22.316.331 a 22.360.459, facendo regi­strare un aumento di circa 44 mila unità, più 0,2%. Pec­cato però che que­sto pic­colo incre­mento non dipenda affatto dal decreto ma bensì dal pic­colo e tem­po­ra­neo miglio­ra­mento della pro­du­zione indu­striale che ha inte­res­sato il sistema nei primi mesi dell’anno. E che, soprat­tutto, que­gli occu­pati in più siano tutti pre­cari. Aumen­tano, come era ampia­mente pre­ve­di­bile, i con­tratti a tempo deter­mi­nato e dimi­nui­scono in modo con­si­stente gli inde­ter­mi­nati. Una sosti­tu­zione, con­fer­mata dai dati sulle comu­ni­ca­zioni obbli­ga­to­rie.

Insomma, il lavoro pre­ca­rio ha con­ti­nuato a man­giarsi il lavoro sta­bile. La cre­scita, peral­tro, secondo l’Istat riguarda «quasi esclu­si­va­mente gli uomini». Le lavo­ra­trici donne, in valori asso­luti, tra feb­braio e luglio sono dimi­nuite di 13 mila unità, da 9.316.000 a 9.303.000. Quindi le azioni del governo per creare lavoro e con­tra­stare la disoc­cu­pa­zione si con­cen­trano sul dise­gno di legge in arrivo.

Quel che si cono­sce ad oggi del decreto ci dice che il governo della velo­cità non sta cam­biando verso alle poli­ti­che del lavoro. Si pro­se­gue nella sva­lu­ta­zione del lavoro stesso e dei lavo­ra­tori ini­ziata con le poli­ti­che neo­li­be­ri­ste e del auste­rita per­se­guite anche dagli ese­cu­tivi pre­ce­denti, aggre­dendo dopo il 18 anche l’articolo 13 dello sta­tuto pre­ve­dendo il pos­si­bile deman­sio­na­mento con le con­se­guenti per­dite di pro­fes­sio­na­lità e sala­rio fino imma­gi­nare il con­trollo a distanza dei lavo­ra­tori ridu­cendo le tutele con­qui­state su pri­vacy e libertà individuale.

Il con­tratto a tutele pro­gres­sive diventa un abnorme periodo di prova al lavoro che si aggiunge agli esi­stenti, entra in con­flitto e viene man­giato dal decreto Poletti che rende e ren­derà sem­pre più com­pe­ti­tivo assu­mere a ter­mine rispetto al tempo inde­ter­mi­nato, indi­pen­den­te­mente dagli even­tuali incen­tivi che qual­che espo­nente del mino­ranza Pd pro­pone in ordine sparso. Se dav­vero si vuole raf­for­zare la pos­si­bi­lità di creare nuovi posti di lavoro sta­bili almeno nel tempo è neces­sa­rio can­cel­lare la stra­grande mag­gio­ranza delle norme e dei con­tratti che sino ad oggi hanno ali­men­tato la pre­ca­rietà cor­reg­gendo anche il recente e inef­fi­cace decreto Poletti. La libertà di licen­zia­mento in Ita­lia e già molto alta (solo nel 2013 vi sono stati 900 mila, tra col­let­tivi e indi­vi­duali. Sono que­sti i numeri che il pre­mier dovrebbe guar­dare non le cause di rein­te­gro. La sospen­sione anche tem­po­ra­nea dell’attuale e insuf­fi­ciente art.18 è un ulte­riore inde­bo­li­mento del lavoro e una sot­tra­zione di diritti sog­get­tivi.

La discus­sione che andrebbe fatta è su come rico­struiamo nuovi diritti anche a fronte del cam­bio di tec­no­lo­gie, della nuova divi­sione del lavoro e di un wel­fare da reim­ma­gi­nare, unendo redi­stri­bu­zione del lavoro a redi­stri­bu­zione del red­dito. In par­la­mento noi vogliamo sfi­dare il governo a cam­biare dav­vero verso, costruendo con chi ci sta un fronte per il lavoro, dalla pre­ca­rietà alla sta­bi­liz­za­zione, dalla disoc­cu­pa­zione alla crea­zione di nuovi posti di lavoro.

Ci sono atti che non coste­reb­bero e si pos­sono fare da subito per distri­buire lavoro, come la sop­pres­sione imme­diata degli incen­tivi per le ore di straor­di­na­rio che oggi ren­dono più con­ve­niente e meno costosa un’ora di straor­di­na­rio rispetto ad un’ora di lavoro ordi­na­rio can­ni­ba­liz­zando i posti di lavoro. Ed altre che potreb­bero essere finan­ziate con i risparmi fatti e pre­vi­sti sulle pen­sioni dalla ridu­zione dell’età pen­sio­na­bile, sino alla libe­ra­zione di tutti coloro, come i «quota96» e i fer­ro­vieri, che sono trat­te­nuti al lavoro dagli errori della For­nero. Altre ancora finan­ziando e uti­liz­zando diver­sa­mente gli ammor­tiz­za­tori sociali a par­tire dai con­tratti di soli­da­rietà per distri­buire il lavoro nelle crisi azien­dali. Il lavoro da chi lo ha perso a chi lo cerca, da chi lo inse­gue da anni di con­tratto in con­tratto di con­ferma in con­ferma non ha 1000 giorni di tempo e se il governo non aggre­di­sce la disoc­cu­pa­zione non avrà nean­che lui i «suoi» 1000 giorni e le bat­tute stanno a zero.

Condividi