Per for­tuna, manca poco. Per l’11 ago­sto, il giorno del nuovo uomo al ver­tice del cal­cio ita­liano. Ancora qual­che giorno e sarà l’«apocalisse» della ver­go­gna. Con figu­racce con­ti­nue che cascano come le banane, magari così direbbe Carlo Tavec­chio. Il can­di­dato impre­sen­ta­bile alla pol­trona di numero uno del cal­cio ita­liano. Pre­si­dente della Figc al posto del dimis­sio­na­rio Gian­carlo Abete.

Insomma, quello di Opti Pobà, del Bana­na­gate, l’asso di bri­scola per i vari Lotito, Gal­liani, Pre­ziosi per man­te­nere lo sta­tus quo del potere in Figc, altro che rin­no­va­mento. Il numero uno della Lega dilet­tanti e i suoi numeri da vit­tima, si sente messo alla gogna per via delle sue ester­na­zioni raz­zi­ste: «Trat­tato così, nem­meno fossi l’assassino (Lee Oswald, ndr) di John Kennedy».

«Povero» Tavec­chio inviso anche dai cal­cia­tori, vedi l’intervento di Chiel­lini, Buf­fon, De Rossi, dall’associazione nazio­nale alle­na­tori. È riu­scito per­sino a diven­tare famoso nei cor­ri­doi della Fifa, che ha invi­tato i ver­tici del nostro pal­lone a fare qual­cosa, per­ché «l’aspirante pre­si­dente» è impre­sen­ta­bile addi­rit­tura per Joseph Blat­ter. E il suo avver­sa­rio, Deme­trio Alber­tini, vice di Abete per sette anni in Figc, è un outsi­der che viene però dai poteri forti, appog­giato subito da Roma e Juventus.

E quindi? Forse ci si salva in cor­ner con il com­mis­sa­ria­mento – in Ita­lia com­mis­sa­riare è una dove­rosa pra­tica pub­blica -, solu­zione posi­tiva secondo il pre­si­dente del Coni, Gio­vanni Malagò. Il diri­gente fidato di Mat­teo Renzi, quello della svolta dello sport ita­liano, che in que­sta situa­zione non ha distur­bato il mano­vra­tore e ora parla di finale thril­ler. E paventa un colpo a sor­presa, che andrà in onda men­tre lui sarà in ferie. Ma se serve, torna subito a Roma, chiaro. E men­tre Malagò si rilassa dopo lo stress dell’ultimo atto scan­da­loso del pal­lone nostrano, prende corpo l’ipotesi della sua squa­dra per il com­mis­sa­ria­mento lampo.

Com­po­sta dal segre­ta­rio gene­rale del Coni Roberto Fab­bri­cini, il figlio del pre­si­dente della Repub­blica Giu­lio Napo­li­tano e Michele Uva, ex diri­gente di club di Serie A pronti a scen­dere in campo. Una task force per rine­go­ziare lo sta­tuto della Figc e fare le riforme – parola che tor­menta gli ita­liani da mesi – con i tempi per gli adem­pi­menti tec­nici che sareb­bero stret­tis­simi. Il com­mis­sa­rio deve essere votato dalla giunta del Coni, da con­vo­care entro due giorni. In piena estate, mica facile.

Intanto Tavec­chio è con­sa­pe­vole di tro­varsi su un trono scric­chio­lante, che potrebbe festeg­giare il suc­cesso solo in terza con­vo­ca­zione l’11 ago­sto, quando sarà suf­fi­ciente una per­cen­tuale del 51 per cento per vin­cere. Ha ini­ziato ad allar­garsi il fronte dei diri­genti orien­tati a votare scheda bianca, più per il dif­fuso sen­ti­mento di ina­de­gua­tezza del can­di­dato favo­rito che non per un pro­gramma sostan­zial­mente con­di­viso (e con­di­vi­si­bile) da tutti. Anzi, pro­prio la spac­ca­tura della Serie A, con un sostan­ziale pareg­gio fra pro Tav e no Tav deve aver con­vinto Malagò a un’altra accelerazione.

È pro­ba­bile che il pre­si­dente del Coni abbia matu­rato la con­vin­zione che il fronte del no stia per esplo­dere e ci possa essere un altro signi­fi­ca­tivo cam­bio di can­di­dato (o di scheda bianca, appunto) nelle pros­sime ore tale da man­dare a gambe all’aria l’11–9, il lieve van­tag­gio che appa­ren­te­mente il pre­si­dente della Lega dilet­tanti sem­bra ancora avere in mano. Così, gli osta­coli per Tavec­chio si moltiplicano.

In poche parole, o si tira indie­tro oppure il pre­si­dente del Coni potrebbe costrin­gerlo a tirarsi fuori per l’assoluta ingo­ver­na­bi­lità del sistema pal­lone. Anche per­ché la gover­nance della nuova Figc rischia di diven­tare l’ostacolo più ingom­brante verso la pre­si­denza: per rifor­mare lo sta­tuto serve il 75% dei con­sensi, e il can­di­dato forte alla corsa osteg­giato dalle com­po­nenti tec­ni­che che pesano per il 30% non potrà mai con­tare su quella fetta di appoggi. In più, Tavec­chio per la sto­riac­cia su Opti Pobà potrebbe essere defe­rito. Vio­la­zione dell’articolo 11 del codice di giu­sti­zia spor­tiva: «Rischiamo che il futuro pre­si­dente fede­rale debba, come primo atto, dare man­dato a un avvo­cato per difen­dersi dall’accusa di com­por­ta­menti discri­mi­na­tori che la Pro­cura potrebbe muo­ver­gli ad horas», ricor­dava il coor­di­na­tore nazio­nale del dipar­ti­mento sport del Pd, Luca Di Bar­to­lo­mei, sul suo blog.

Certo, sarebbe sin­go­lare che la Pro­cura fede­rale si risve­gliasse per punire Tavec­chio, dimen­ti­cando l’oblìo che dura ormai da anni. Ma potrebbe suc­ce­dere. Senza dimen­ti­care che la «scan­da­losa» vicenda è solo la punta dell’iceberg. Prima ci sono, le respon­sa­bi­lità da distri­buire ai col­pe­voli dell’azienda ita­liana cal­cio man­data in malora, tra le morti di civili fuori agli stadi (fati­scenti e vuoti) con col­pe­voli ancora da indi­vi­duare con cer­tezza e carenze del ser­vi­zio di sicu­rezza pubblico.

E poi le curve finite nella mate­riale dispo­ni­bi­lità degli ultras, pro­cu­ra­tori che gesti­scono a pia­ci­mento il flusso dei cal­cia­tori, aiu­tando le grandi in bol­letta a strap­pare atleti ad altre squa­dre in cam­bio di pre­bende – feno­meno sco­no­sciuto un piede oltre le Alpi ita­liane -, paga­menti in nero, tre club di Serie A e B con i capi­tani coin­volti nello scan­dalo cal­cio­scom­messe, piaga che allieta da anni gli ita­liani sotto l’ombrellone.

E met­tia­moci anche la recente pan­to­mima per la ven­dita dei diritti tele­vi­sivi della Serie A 2015/2018, con attori pro­ta­go­ni­sti Sky e Media­set: la prima ha man­te­nuto i diritti sulle gare della mas­sima serie, il Biscione si è garan­tito il pac­chetto delle prime otto in clas­si­fica, i club hanno mone­tiz­zato per quasi 1 miliardo di euro, la Lega si è detta favo­re­vole a un subli­cenza che por­te­rebbe di nuovo la Cham­pions Lea­gue (esclu­siva Media­set dal 2015) di nuovo sugli schermi anche della tv di Rupert Mur­doch. Dun­que pac­chetti rine­go­ziati e niente tutela per gli altri com­pe­ti­tor. Insomma, ci sono gli estremi per dichia­rare bancarotta.

A que­sto punto, il delu­dente Mon­diale bra­si­liani messo assieme dalla Nazio­nale di Cesare Pran­delli passa quasi sot­to­trac­cia. Sarebbe stato irreale sol­le­vare un’altra Coppa nono­stante una situa­zione così disa­strosa nel pro­prio sistema, come avvenne con l’Italia di Mar­cello Lippi che vin­ceva a Ber­lino poche set­ti­mane dopo la bufera del calcioscommesse.

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