di Riccardo Chiari

Bontà sua, anche il governo si fa sen­tire: “Il piano indu­striale per Ast pre­sen­tato oggi da Thys­sen Krupp pro­prio non va”. Per forza: nello sta­bi­li­mento di Terni i tede­schi pro­get­tano una ridu­zione di costi in tutte le aree di oltre 100 milioni l’anno, il taglio di 550 lavo­ra­tori, e la chiu­sura entro due anni del secondo forno. Al mini­stero dello svi­luppo eco­no­mico, ma anche a palazzo Chigi, l’hanno presa male: appena il mese scorso, in un sum­mit chie­sto dagli enti locali umbri, l’autorevole Joa­chim Lim­berg, che di mestiere fa il “Ceo Busi­ness Area Mate­rials Ser­vi­ces”, aveva detto: “Thys­sen­Krupp crede nelle poten­zia­lità di Acciai Spe­ciali Terni e delle con­so­ciate, e sta valu­tando con molta inten­sità tutte le solu­zioni per il rilan­cio”. Ad ascol­tarlo c’erano il brac­cio destro del pre­mier Renzi, Gra­ziano Del­rio, e il vice­mi­ni­stro Clau­dio De Vin­centi. Entrambi, a occhio, sono stati presi per i fondelli.

Peg­gio di loro stanno gli ope­rai, i tec­nici e gli impie­gati nel set­tore della side­rur­gia ita­liana, rasa al suolo dalla non poli­tica indu­striale del governo, e dalla stra­te­gia degli affi­liati a Fede­rac­ciai di spar­tirsi i pochi boc­coni pre­giati (e a ren­di­mento imme­diato) di quanto resta delle grandi accia­ie­rie della peni­sola. Invece a Terni, dove comanda la mul­ti­na­zio­nale tede­sca, le cose si fanno alla luce del sole: il piano indu­striale, quin­quen­nale, corre verso la chiu­sura dell’area a caldo e con una maxi ridu­zione dei costi che, al solito, si abbat­terà soprat­tutto su quelli del lavoro. “Un piano da rive­dere per­ché manca di pro­spet­tiva – com­men­tano ai piani alti del Mise – cioè non lascia intra­ve­dere, dopo tre anni di incer­tezze gestio­nali, quale possa essere il futuro”.

Quello imme­diato, visto con gli occhi dei lavo­ra­tori e dei sin­da­cati, è sin­te­tiz­za­bile in una parola: scio­pero. Fiom, Fim e Uilm chia­mano allo stop già per l’intera gior­nata di oggi. Anche i cislini di Raf­faele Bonanni, abi­tual­mente più rea­li­sti del re, non vedono alter­na­tive: “Quello di Thys­sen­Krupp è un piano fal­li­men­tare dal punto di vista indu­striale — tira le somme Marco Ben­ti­vo­gli della Fim — ed è la foto­co­pia di tutti i piani pre­sen­tati da tutti i grandi gruppi per ‘effi­cien­tare’ il costo del lavoro. Con rica­dute sociali inac­cet­ta­bili”. Per la Fiom, dopo che il segre­ta­rio ter­nano della Cgil, Atti­lio Roma­nelli, ha bol­lato il piano come “irri­ce­vi­bile”, inter­viene il coor­di­na­tore nazio­nale della side­rur­gia Gianni Ven­turi: “Manca qual­siasi pro­spet­tiva stra­te­gica – avverte il pur ‘rifor­mi­sta’ diri­gente sin­da­cale dei metal­mec­ca­nici Cgil — e la ricerca dell’equilibrio tra pro­du­zione e red­di­ti­vità è sca­ri­cata sui soli lavoratori”.

Lunedì ci sarà un primo incon­tro tra azienda e sin­da­cati. Ma certo i tede­schi non sem­brano tipi mal­lea­bili, a giu­di­care dai det­ta­gli di quello che defi­ni­scono “piano di azione stra­te­gico glo­bale, in grado di rista­bi­lire la pro­fit­ta­bi­lità soste­ni­bile dell’azienda, nono­stante il dif­fi­cile qua­dro del mer­cato carat­te­riz­zato da un’esistente sovra­ca­pa­cità”. Visti da Thys­sen­Krupp, i rimedi sono la fusione delle società del gruppo Ast e una nuova strut­tura com­mer­ciale in siner­gia con quella della mul­ti­na­zio­nale; l’incremento del lami­nato a freddo del 30% e il decre­mento del lami­nato a caldo del 40%; il man­te­ni­mento dei volumi del for­giato, l’incremento della quota tubi del 30% e soprat­tutto il taglio di 550 addetti e di 100 milioni annui negli inve­sti­menti. Con un’avvertenza finale: “La chiu­sura del secondo forno potrebbe essere ricon­si­de­rata solo se le con­di­zioni di mer­cato miglio­re­ranno note­vol­mente, e tutti gli obiet­tivi saranno stati rag­giunti”. Replica Mario Ghini della Uilm: “Qui si riduce la forza lavoro del 20% in cin­que anni. Se l’azienda vuole rispar­miare così, non va lon­tano”. Come la side­rur­gia italiana.

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