Mul­tiet­nico è uno degli agget­tivi da tutti più acco­stati alla Ger­ma­nia cam­pione. È un buon segno, anche se qui da noi l’altra sera i tifosi in cerca di una fina­li­sta da adot­tare sem­brano averlo messo da parte. Ci tor­niamo dopo. Ovvio che la tra­di­zione spor­tiva fac­cia della Ger­ma­nia una «nostra» avver­sa­ria sto­rica. Non par­liamo della sto­ria e della poli­tica, sia pure distil­late nell’immaginario car­ne­va­le­sco del cal­cio. Così, se i più anziani non hanno potuto rinun­ciare allo scherzo sulle facce da kapò in un film di nazi­sti (copy­right Ber­lu­sca, anni fa) di alcuni gio­ca­tori tede­schi, la sagoma della Mer­kel in tri­buna faceva il resto sui seg­menti tifosi più gio­vani e radicali.

Il tifo dif­fuso per l’Argentina, sem­pre qui da noi, si può com­pren­dere altret­tanto bene. Par­tiva sfa­vo­rita – e que­sto è impor­tante per con­qui­stare sim­pa­tie occa­sio­nali. Gio­cava un cal­cio tutto som­mato tra­di­zio­nale e estre­ma­mente com­pren­si­bile alle gene­ra­zioni venute su a cate­nac­cio e con­tro­piede. Gli inter­preti erano all’altezza: Masche­rano e i suoi sgherri in difesa e a cen­tro­campo, un por­tiere san­ti­fi­cato dai rigori parati all’Olanda. Attac­canti soli­tari di pari genio, pip­pag­gine e sre­go­la­tezza (Higuain, Lavezzi, Aguero). Il laziale Biglia, il napo­le­ta­ni­sta Higuain, l’ex Lavezzi. E un certo sen­tore di popu­li­smo suda­me­ri­cano, guer­ri­gliero, un fascino magari cheap e retro ma indub­bio. Cal­cio­mo­lo­tov, andiamo chia­mando que­ste ecce­zioni rivo­lu­zio­na­rie nel calcio.

Lascio da parte il mar­ziano Messi, solo per­ché l’unica cosa capace di rac­con­tarlo sarebbe un volume bor­ge­siano di pagine bian­che. Ma su Messi – meri­ta­ta­mente o no — svo­laz­zava il fan­ta­sma di Mara­dona, e tanto basta. L’andamento della par­tita si è inca­ri­cato di con­vin­cere altri inde­cisi. Né i falli duri, da k.o, su Kra­mer, Higuain, Sch­wein­stei­ger e altri, visti da un tele­vi­sore ita­liano hanno fatto scat­tare in piedi l’arbitro che è nel dna ogni appas­sio­nato ita­liano e l’infinito pro­cesso som­ma­rio che ne con­se­gue. Visto da qua l’arbitro Riz­zoli ha lasciato cor­rere con una certa impar­zia­lità. Visto dall’Argentina, è stato scan­da­loso. I tede­schi hanno avuto la for­tuna di infi­schiar­sene del pro­blema. Risul­tato: due-tre occa­sioni lim­pide degli attac­canti argen­tini messi di fronte al por­tiere tede­sco Neuer, quando dall’altra parte bal­bet­tava il loda­tis­simo gioco corale della Mann­schaft. Tutte but­tate via. Duris­sima puni­zione, infine, al limite del vec­chio gol­den gol, lo stop e tiro di Super­ma­rio Götze al 113’, così veloce da vedere appena la palla già in rete prima dei mille replay. Bravo Götze, gio­vane, carino, cat­to­li­cis­simo e fidan­zato con una modella come ogni cal­cia­tore gio­vane, carino e stra­pa­gato (è del Bayern Monaco, pagato un record di 37 milioni).

Bravi tutti. Il cal­cio tede­sco, si ripete adesso, ha vinto per­ché aveva gioco col­let­tivo, niente star tutti star, e soprat­tutto un «pro­getto». Addi­rit­tura un pro­getto decen­nale. Pas­sato indenne si ricor­derà tra l’altro, alla bru­ciante scon­fitta con­tro la sporca doz­zina azzurra nella semi­fi­nale casa­linga del 2006. Il fatto è che quando si parla di «pro­getto» appli­cato al cal­cio, l’appassionato ita­liano subo­dora la fre­ga­tura. Anche per que­sto il nostro cam­pio­nato è sull’orlo del bara­tro. Nel les­sico della nostra serie A, la parola «pro­getto» si legge mol­tis­simo sui gior­nali spor­tivi estivi e scom­pare nel malau­gu­rato caso della quarta scon­fitta casa­linga in cam­pio­nato. Nel les­sico della nazio­nale, meglio lasciar per­dere. Tutto som­mato l’acqua santa di Tra­pat­toni in Corea è ancora il pro­getto più con­vin­cente della nostra sto­ria cal­ci­stica recente. La coppa del 2006, come si ricor­derà, l’abbiamo vinta per via della rea­zione dei gio­ca­tori al cal­cio scom­messe. E così, una basta e avanza.

A pro­po­sito di mul­tiet­nico, ci si può chie­dere se del «pro­getto» tede­sco facesse parte anche la legge sullo jus soli tem­pe­rato del 2000, pro­po­sta dai social­de­mo­cra­tici e appro­vata dopo due anni di scon­tri e com­pro­messi con il cento-destra. Ma, alla fine, appro­vata. Gra­zie a quella legge a undici anni un ragaz­zino nato in Ger­ma­nia da geni­tori immi­grati e rego­lari resi­denti può diven­tare cit­ta­dino tede­sco e gio­care nelle squa­drette da «comu­ni­ta­rio» fino a poter rap­pre­sen­tare il suo paese senza tanti altri problemi.

Da noi le pra­ti­che si comin­ciano a 18 anni, e non durano poco. Prima sei nel limbo dell’«extracomunitario». Non si vedono all’orizzonte cam­bia­menti di sorta. E, a pro­po­sito di pro­getti futuri, invece: «Troppi stra­nieri (e troppo scarsi)», tito­lava l’altro giorno la Gaz­zetta dello sport, a sca­tola chiusa. Accanto, la noti­zia della foto insta­gram ormai notis­sima di Balo­telli che impu­gna un grosso fucile e lo punta con­tro chi guarda.
Si par­lava di cal­cio e sce­menze. Di oriundi, cam­pioni e bidoni. Forse. Ma l’altro giorno Luca Pisa­pia di fut​bo​lo​gia​.org ha scritto giu­sta­mente nel suo blog cal­ci­stico ospi­tato dal Fatto Quo­ti­diano che un titolo come quello della Gaz­zetta si acco­sta senz’altro «alla peg­gior vul­gata xeno­foba». E allora apriti cielo. I 168 com­menti, ancora leg­gi­bili in Rete, se si ha lo sto­maco forte, si rias­su­mono facil­mente così: laGaz­zetta ha ragione, noi ita­liani non siamo raz­zi­sti, è che loro sono neri. Va bene: quando si parla di cal­cio non si parla di cose serie, ma pro­prio per que­sto a volte viene fuori un bel po’ di verità. Se è così, pro­getto per il futuro di sfor­zarmi di tifare almeno un po’ Ger­ma­nia mul­tiet­nica, la pros­sima volta.

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