di Elio Clero Bertoldi

PERUGIA - Forse non é casuale che la decima promozione negli ultimi cinquanta anni l'abbia conquistata un allenatore che si chiama Andrea. Camplone, infatti, divide il suo nome con Andrea Braccio Fortebraccio, di cui un tifoso allo stadio domenica sventolava un vessillo con scritto "Griffa.. Griffa...", grido di battaglia dei soldati del conte di Montone.

Quella del Renato Curi é stata una gara che il Perugia ha giocato con cinismo e pragmatismo. La promozione su tutto e avere a disposizione due risultati ha suggerito a Camplone-Fortebraccio di 'copiare' per una volta i frusinati (fatela voi la partita..), di costringere gli avversari a tentare gioco propositivo (loro hanno solo l'arma dei lanci per le incornate delle punte) e di colpirli al momento opportuno. Se Fabinho avesse avuto un pizzico di freddezza in più il punteggio sarebbe stato ancora più tondo.

Camplone, molto criticato l'anno passato, ha tenuto una media di due punti abbondanti a partita: in due stagioni consecutive. Eppure sentiva, in cuor suo, di farsi perdonare il flop dello scorso anno nei play off col Pisa ("Ho accettato la panchina perché sentivo di avere un debito da saldare col Perugia"), anche se, forse, qualora i grifoni dell'altranno avessero giocato con la grinta, la determinazione e lo spirito di sacrificio mostrati domenica pomeriggio, nella cadetteria il Perugia ci sarebbe già andato con dodici mesi di anticipo.

Non é stato il Perugia propositivo e brillante di altre circostanze, ma stavolta servivano i punti non le "tazzine". E i punti sono arrivati. Forse può essere iniziato un ciclo, che é caratteristica del Perugia come insegnano i precedenti di Ilario Castagner e Serse Cosmi.
Andrea Camplone, novello Fortebraccio, se lo merita. Lui che ha rimandato a casa, scornato, il "bellator frusino", guerriero senza fantasia. Griphus imperat.
 

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