Flaviano De Luca

Subito sei squa­dre in for­mato maxi e 760 facce for­mato figu­rina. Siamo in una nuvola ceru­lea nell’ingresso della mostra, carica di memo­ra­bi­lia e inte­rat­tiva, La nazio­nale tra emo­zioni e sto­ria. Un secolo di cal­cio azzurro , late­rale all’Auditorium Parco della Musica, aperta fino al 27 luglio. Le sei for­ma­zioni , tutte nella clas­sica posa a due file, in piedi e acco­sciati, sono le com­pa­gini vin­centi dell’Italia: i quat­tro Mon­diali (1934–1938-1982–2006), l’oro Olim­pico del 1936 e l’Europeo del 1968. Invece il muro di figu­rine raf­fi­gura tutti i volti dei gio­ca­tori che hanno indos­sato la maglia azzurra, da Igna­zio Abate a Daniele Zoratto (tra cui nomi sco­no­sciuti come Zef­firo Furiassi, Bruno Arcari IV, Fran­ce­sco Mat­tu­teia e gli amati oriundi Bruno Pesaola, Alci­des Ghig­gia, Dino Da Costa), con uno schermo video dove ci sono anche dati e infor­ma­zioni per ognuno. Un tuffo dove il cuore è più blu, per rivi­vere o sco­prire le gesta di tanti cam­pioni indi­men­ti­ca­bili.
Alla vigi­lia di Bra­sile 2014, il lungo rac­conto di una squa­dra rap­pre­sen­ta­tiva di un paese, il sim­bolo di un sen­tire comune che ha attra­ver­sato decenni e gene­ra­zioni, con quella parola tri­co­lore e tri­sil­la­bica I-ta-lia, I-ta-lia, ripe­tuta con foga e pas­sione (nono­stante le scelte discu­ti­bili per geo­po­li­tica, clan, anti­pa­tie, le due guerre mon­diali, la tra­ge­dia di Superga, i sei minuti di Rivera,ecc). Una sto­ria colo­rata e com­pli­cata, comin­ciata in quella dome­nica di mag­gio del 1910, in quel primo incon­tro, Italia-Francia finito 6–2 all’Arena Civica di Milano con gli undici gio­ca­tori sele­zio­nati da una com­mis­sione tec­nica, com­po­sta da cin­que arbi­tri che impiegò mesi per defi­nire la for­ma­zione giu­sta, scesa in campo con maglia bianca e nastrino tri­co­lore in petto (curio­sità asso­luta, ognuno aveva i cal­zet­toni della pro­pria squa­dra di club) : De Simoni, Vari­sco, Calì, Trerè, Fos­sati, Capello, Deber­nardi, Rizzi, Ceve­nini , Lana (autore di una tri­pletta), Boiocchi.

Un anno dopo arriva la maglia azzurra, in omag­gio ai Savoia, il 6 gen­naio 1911, a Milano con­tro l’Ungheria ( che vinse 1–0). La maglia più vec­chia in espo­si­zione, datata 1924, è quella del por­tiere Gio­vanni De Prà, quello che sfidò Zamora in un’Italia-Spagna finita 0–0, con alcuni mira­co­losi inter­venti dell’estremo difen­sore geno­vese, finito in ospe­dale, col­pito dalle scor­ret­tezze degli attac­canti avver­sari.
Quella più affet­tuosa è la maglia del debutto di Sil­vio Piola, autore di una dop­pietta con­tro l’Austria, il 24 marzo 1935, impresa rica­mata suc­ces­si­va­mente sulla casacca dalla madre. La più tor­bida, la maglia nera con la quale Bia­vati scese in campo ai Mon­diali del 1938 e poi le maglie dei trionfi del ’68 (Zoff e Facchetti),’82 (Rossi e Tar­delli) e 2006 (Can­na­varo) e quelle di vit­to­rie sfu­mate, come quella ’90 (Man­cini) e 2004 (Baresi). E le scar­pette (o scar­pini), dap­prima di pelle rudi­men­tale poi sem­pre più dise­gnati e tec­no­lo­gici fino a quelli stra­fir­mati e bislac­chi di oggi.

Poi i pal­loni usati nelle par­tite con­sa­crate alla sto­ria del cal­cio ita­liano e la col­le­zione com­pleta dei pal­loni uti­liz­zati in tutti i Cam­pio­nati del Mondo; oggetti che hanno sim­bo­leg­giato alcune delle vit­to­rie più glo­riose, come le pipe di Enzo Bear­zot e del Pre­si­dente San­dro Per­tini, la giacca mun­dial ’82, la divisa usata da Can­na­varo nella finale Mon­diale 2006, i biglietti delle finali mon­diali ’34 e ’38, la vali­getta del mas­sag­gia­tore Cor­tina (con bot­ti­glie e pez­zuole), rin­ve­nuta a Superga nel 1949, il pupazzo di Ita­lia’ 90, lo spar­tito musi­cale Inno azzurro (del 1926), il pla­stico dello sta­dio Olim­pico (per la ristrut­tu­ra­zione del 1990), il fischietto per arbi­tro del 1902 e tante ripro­du­zioni di prime pagine di gior­nali. L’energica Coppa del Duce, un gruppo di cal­cia­tori lan­ciato verso il cielo, quasi pira­mide umana, dise­gnata dallo scul­tore futu­ri­sta Giu­seppe Gra­ziosi e le ripro­du­zioni della Coppa Rimet e poi della World Cup.

Le tan­tis­sime foto che dicono tutto, quella degli spet­ta­tori a Roma su una gre­mi­tis­sima tor­retta dello Sta­dio del Par­tito Nazio­nale Fasci­sta nel 1934, sono tutti uomini (e parec­chi bam­bini) con qual­che cadetto di acca­de­mia mili­tare, vestito com­ple­ta­mente di bianco o la sagoma di Vir­gi­lio Fos­sati , un sor­riso da attore cine­ma­to­gra­fico, uno dei primi capi­tani dell’Italia che scom­pa­rirà in guerra nel 1916. E ovvia­mente fil­mati in bian­coe­nero, a colori, anti­chi e recen­tis­simi, divisi per miti, eroi, leg­gende, epi­che vit­to­rie, con moni­tor touchscreen.

Forse l’unico limite è pro­prio il tono trion­fale ed ecu­me­nico di un’esposizione –voluta dalla Figc e curata da Mat­teo Marani e Ales­san­dra Sette– che vor­rebbe rac­con­tare anche le tra­sfor­ma­zioni di un paese, attra­verso i fil­mati dell’Istituto Luce, mar­cate dalle par­tite degli azzurri (con Fra­telli d’Italia e Forza Ita­lia diven­tati auten­tici par­titi poli­tici), segno di un pro­dotto made in Italy cono­sciuto in tutto il mondo (gra­zie alla tele­vi­sione) e amato anche dai più recal­ci­tranti al roto­lare di un pallone.

 

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